monologo 3

Posted By claudiobadii on Nov 24, 2015 | 0 comments


Nel dormire al Grand’Hotel la notte del primo giorno ho avuto un sogno di celluloide: splatter né più né meno. Sangue e spade iperrealisti. Libera associazione: sangue/prime mestruazioni. Avrò avuto dodici anni e il margine di quel giorno è affilato come una spada. E i giorni successivi, finché il sangue durò, furono una pellicola di celluloide tagliente.

Sangue vivo: “Oh mamma!”. E mamma dice: “Devi abbracciare la giustizia e il piacere”. Immagina cosa avrò capito io! Però sono cose che rimangono. Ogni mese quei giorni mi dico che dovrei aver imparato a tenere insieme giustizia e piacere. E oggi mi dico di tenermi la voglia in tua assenza.

Nel sogno impugnavi la spada che stava nel mio cuore. Al risveglio non mi capacitavo. “Perché non me lo sono dimenticato subito, senza tirarmi addosso quella cattiveria che involontariamente gli ho addebitato?” Belavo. Ma mi è rimasto in mente lo stesso, come una cosa che non ho voluto e mi fa soffrire. Troppo piacere è ingiustizia.

La voglia di te che hai messo in me si tende tra l’albergo e la spiaggia. La banchina che porta al faro è il letto di un gigante. La dimensione dei sentimenti è fuori misura. Il mare rende plausibile la mitologia. Non pericolosi gli amori. La femmina creata dal fianco del maschio consente maschi/donna e femmine/uomo. Che è quello che siamo noi: da cui la grande voglia.

Su pietre acqua e conchiglie mi muovo fino al faro. È un titano di cemento e vernice lucida. È lui il maschio/donna: in esso il genere sostiene la grazia. Il dio Oceano mi costruisce un corpo di cemento e acqua salata di femmina/uomo: perché il genere sostenga la forza.

Ti tornerò cambiata. Riconoscente. E con conchiglie taglienti alle orecchie, in ricordo del sangue.

Submit a Comment

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato.