non ci sono ombre per il ritorno

Posted By claudiobadii on Mar 22, 2013 | 0 comments


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il pensiero …. primitivo

La coscienza può uccidere la vitalità perché la coscienza non ha memoria. O meglio: ha una memoria priva di sentimento.

Leggo “Guaritori di follia” di Piero Coppo. (Boringhieri – Saggi – 1994): ….l’anima delle persone amate torna sopra un bambino che nasce

La vitalità mi ha fatto pensare di spolverare e pulire tutti i miei libri di questi dieci anni e così ho trovato questo libro di cui la coscienza non aveva il ricordo.

Leggo: Il bambino riceverà il nome della persona venuta su di lui, per questo le persone hanno due nomi, il loro e quello dell’antenato. Poi ‘…in generale, è il nome della persona che è tornata in lui, che si chiamerà di più. Così chi se ne è andato non è morto per davvero. Per sapere il nome di chi è tornato cerchiamo sul bambino dei segni, o lo chiediamo ad un indovino, per esempio se il bambino piange troppo. L’indovino dirà allora il nome della persona che è tornata nel bambino e allora si andrà dal lato del villaggio dove è stata sepolta, per versare acqua dicendo: bevi la tua acqua. Dopo il bambino smetterà di piangere. Kindé kindu sembra dunque un principio di continuità longitudinale, che sostiene quell’asse del lignaggio costitutivo della personalità.

Abbiamo i nostri due nomi ognuno in serbo per la continuità di due modi del passato. Noi che veniamo cioè deriviamo letteralmente da chi ci ha amato e che dunque sempre andiamo verso quella o quello, e noi che seppure vorremmo venire ancora per una inclinazione invece non potremo più tornare verso chi non ci ha amato. Un nome per noi da soli, e uno per lasciarci chiamare ed invocare dalle persone della nostra vita.

Lei torna a cavallo delle cose dimenticate della coscienza. Lei è l’affetto dei ricordi che nella memoria cosciente erano rimasti senza calore. Per questo quando la vedo….

Leggo: L’ordine che la cultura cerca di imporre all’universo si regge anche sulla rappresentazione ritualizzata del suo contrario. Così io ripeto la strada verso di te. Torno sul tuo passato ed ho in braccio il tuo passato e sono io a portare a te il tuo passato, la testimonianza di una tua continuità attraverso di me. Non è il tuo passato che mi porta da te. Io ero colui che era morto, lo scomparso. Ero quello che era prima della tua nascita e che non doveva essere. E invece poi….

Io ti porto il mio nome aiutato da una cultura che definiscono primitiva e invece è assai avanzata, almeno per la libertà che regala a chi deve fare ricerca sulla propria ignoranza e limitata fantasia.

Leggo: …davanti all’uomo la foresta; dietro il deserto... Le parole scritte sono una serie di segni legati dal laccio originario della vitalità. Non ho bisogno più del concetto filosofico di irrazionale. Ho la scoperta della clinica su cui si fonda la funzione che garantisce il pensiero come ‘capacità di immaginare’ (ma avevo scritto di innamorare!). Esercito una forza di separazione tra Vitale e Irrazionale. Lo schianto del tronco svela una linea di debolezza strutturale nella fibra della cultura. Svela l’artificiosità di certi termini di transizione. Inconscio ora non mi serve granché, e sempre meno mi servirà. Inconscio è una parola assai gridata ed evocata che sta perdendo la sua forza. Resta usato in letteratura e meno nella scienza: non ha risonanza comunicative nel ragionamento affettuoso per la cura.

La cura deve assicurare la consapevolezza della matrice dell’ordine funzionale corrispondente alla salute.

Ora ho davanti agli occhi la novità della foresta, i rami intrecciati del tappeto, la tessitura dei passi lenti, la barca ben curvata che porta la rete di parole. Alle spalle ho la traccia fisica: l’affetto indicibile del passato. La vitalità, per il suo opposto, è sete e deserto. Garantisce l’origine della biologia umana dalla biologia.

Leggo una serie di nomi di cose …il cibo, la bocca, la tomba, il piatto, la stuoia, il sesso.. La storia della volpe che la notte entra nella radura domestica e sconvolge i segni nella sabbia, i simboli del cibo, della bocca, del sesso, della stuoia, della tomba: così confondendo la vita e la morte, togliendo i confini come in un incubo. La volpe beve l’acqua che comunque per lei era stata lasciata. Ci lascia desolati per il disordine che semina dietro di sé, è ospite ingrato e furtivo ma con i tracciati dell’incubo ribadisce l’importanza delle tracce che non sono inconscio su cui riflettere ma una funzione di cui prendere atto.

La scoperta clinica della vitalità ha posto una funzione alla base del pensiero umano e proposto un approccio esclusivamente medico alla mente.

Oggi però non leggo la scoperta, leggo la psichiatria che si confronta con l’antropologia culturale, i medici al cospetto dei guaritori d’anime. Non cerco però la somiglianza dei simboli, non cerco l’allegoria, non cerco una simpatia transculturale. Non voglio fare politica di integrazione. Non voglio fare il devoto alla giustizia e all’uguaglianza. Devo poter curare anche chi non riesco ad amare. Anche chi non capirò mai. Anche chi non suggerirà mai alla mia mente la possibilità di una definitiva vicinanza, di una definitiva assoluzione della mia incompatibilità.

Resto tra la VITALITÀ -che è uguaglianza non concettuale ma di funzione del genere umano e della propria specifica biologia cerebrale- e la COSCIENZA  che è imprescindibile se  voglio dire vòltati, corri, guardami, respira forte’ e ‘ora va meglio e alla fine di oggi, anche oggi, grazie!.

Culture primitive dicono  …’8′ è il simbolo della parola, ‘liscio’ corrisponde alla superficie dell’acqua, ‘perfetti’ sono i gemelli verdi come smeraldi della cosmogonia, acqua è  ‘mare’ ma è anche il ‘mestolo’ con cui si prende l’acqua, e bere è il ‘sorso’, e vestire la nudità per ‘pudore’ è ‘ordinare il mondo’, e ‘tessitura’ è il ‘linguaggio originario’...Leggendo penso alle nostre mani intrecciate.

La cultura primordiale primitiva dice che le parole anche incomplete, rubate per invidia e malanimo da figli malnati, anche quelle parole così smangiate dalle termiti e dai tarli rivelano i segni degli dei. Io penso che è evidente dunque che in ogni parte del mondo, anche lontanissima tutti anche diversi da noi sanno che il linguaggio è il segno della nostra divinità. Diversità

Noi invece di divinità diciamo vitalità, perché la scoperta disse che essa era nella linea dei disegni e più ancora nella scrittura che non fa nessuna figura. La vitalità, si è scoperto, è nello svolgersi del discorso. Non è ancora l’io narrante, che è una riflessione successiva. La vitalità è la traccia di umanità alla base del pensiero. La realtà del pensiero che deriva dalla materia attraverso la trasformazione dello stato fisico della materia alla nascita…..

La vitalità è l’uguaglianza di una trasformazione originaria che cambia l’assetto della biologia in biologia umana.

Alle soglie della nascita, nel passaggio dalla realtà materiale della biologia, alla realtà fisica della vita mentale, sta un punto di potenza. Là anche l’irrealtà purtroppo può insaturarsi. Non si può farci niente. Ma avendo rintracciato quel momento, che è l’attimo di una trasformazione irreversibile dello stato della materia, si sa che la cura del pensiero è a partire da una realtà materiale, in un punto in cui si realizza una nuova funzione.

Smetto di leggere quando la profetessa, dopo aver ben scrutato le fiamme e le ombre e le viscere e il cielo e ognuno di noi in volto, sorride e dice di fare festa per celebrare la partenza,  perché solo i ladri e gli omicidi vogliono andarsene furtivamente, solo le persone cattive vogliono essere ignorate quando ci lasciano.

Dice: ‘ la strada è aperta, non ci sono ombre per il ritorno… ‘

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