quiete dei ritorni

Posted By claudiobadii on Giu 8, 2014 | 1 comment


Pelle antica e accordo di sesta e quinta e amore dominante; l’epidermide frigge al sole che riscalda l’aria musicata dalle penne dei compositori, e passione tra i lati delle nostre figure, da leggere nei due versi: la reversibile verità luce mia e mia lucente amata, arriva in quei frangenti sfolgorante di riflessi ed ecco perché questi occhiali avvolgenti. Mi nutro secondo la dieta di quasi digiuno condivisa coi miei vicini: gente che mette insieme modeste cifre di carbone e braci di cottura notturna delle proprie pietanze. Cosa ingeriscano questi insonni non si vede gran che alla luce fredda antipatica della luna. La luna, alla luce del loro e nostro digiuno che acuisce i sensi, risulta antipatica inconsistente e superficiale. Non si sa come ci abbia distratti dalla sua propria durezza: deve essere stato il terrore che suscita, poiché da sempre spegne nel bianco e nella polvere inerte il giallo e il coraggio dell’energia intollerabile delle stelle. Da millenni all’ombra di un riflesso di morte cosa mai si è cantato mi domando. Non coscienti ha voluto dire soltanto essere pallidi grigi e mai innocenti: dato che lunare è morto vivente, materia spenta senza rimedio. Nell’autoritratto metto giallo e occhiali scuri, i capelli finti di vecchiaia risultano bianchi a fronte della tua splendente parrucca di capelli vivi: i capelli della voce tua scolpita in fili elettrici. Il garbuglio di frecce e di riccioli in matasse ramate di una voce ad alta tensione che, cadendo dall’altalena del cielo diurno, questi giorni estivi, con te sdraiata accanto, ustiona la mia pelle in attesa costante. Sorridi irresistibilmente e io non so come ripagarti per la grazia che si insedia nel pensiero mio al vedere che la tua potenza di persuasione è la libertà che ti regalai con terrore che hai trasformata in sortilegio. Possiedi doti psicoterapeutiche di stregoneria suscitando certezza di protezione di padri, figli e amori. Si comprende che la trasformazione di una cosa in una di diversa natura è il cancello sventrato: adesso non più divieto ma punto di accesso a mondi regolati e popolati diversamente da qui. Così oggi solo la pelle antica di ombra viola e arancio stendo al sole, e scrivendoti “Grazie!” depongo la presunzione del ricordo cosciente. Sulla vecchia pelle, deposta sul mucchio di sabbia ai miei piedi, le righe dei tatuaggi si infiammano: bruciando la mia carcassa di cartapecora come si fa il rogo di una biblioteca o, anche, si accende la legna: bruciando, sotto una capanna di trucioli secchi, il cartoccio di storie insomma le pagine di un quotidiano di anni passati. La bellezza solare della fiamma incendia il pianetino satellite e l’arancione e il giallo che soffiano verso il cielo notturno spazzano via la polvere grigia, la terra raffreddatasi senza seguito in modesti avvallamenti del cimitero cosmico. Che non ci sia più luna tra noi né sopra noi. Esercitati a dire ti amo con minore consapevolezza. A dirlo distrattamente. Volgiti a me restando incerta su chi io debba essere per te. Su cosa io debba fare per piacerti. Respingi lontana da noi la luna invidiosa. Amami di meno. Considera: potresti ripetutamente aspettare la quieta norma di ritorni silenziosi?

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