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(commento di Michela all’articolo “la forma di quello che resta”)

“Negli anni ‘70, l’artista serba Marina Abramovic visse un’intensa storia d’amore con l’artista tedesco Ulay. Per cinque anni i due vissero in un furgone, realizzando insieme moltissime opere e performance. Quando il rapporto di coppia inizio’ ad incrinarsi, rischiando di distruggere la parte più creativa dei due, capirono che non valeva più la pena di continuare assieme. Si lasciarono con un ultimo grande abbraccio, per non vedersi mai più. Ventitré anni più tardi, nel 2010, quando Marina era ormai un’artista consacrata, il MoMa di New York dedicò una retrospettiva al suo lavoro. In questa retrospettiva, Marina condivideva un minuto di silenzio con qualsiasi sconosciuto si sedesse di fronte a lei. Ulay è arrivato senza che lei ne fosse a conoscenza. La forma di quello che resta è tutta in questo minuto di silenzio.”


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la scarsa educazione musicale

C’è vento adesso. Bisogna tener conto dei capelli che volano qua e là facendomi carezze sulle tempie e accanto agli occhi. Il pensiero è distratto da tutto questo e dal vocìo della piccola folla di mamme  davanti alla scuola. Fastidiose. Non è il suono continuo bitonale delle cicale in pineta. Non è l’alternanza che, seppure priva di sviluppo melodico, chiacchiera come la pioggerellina, come la fontana aritmica che rimbalza. Non c’è ombra di passione puntigliosa, di pretese precise, non c’è volontà personale e neanche richiesta perentoria. Non c’è una linea sociale o un segmento di civiltà che chiede. Tutto quello che potrebbe esserci nelle parole scambiate tra esseri umani in questo brusio manca. È un suono polifonico sguaiato. È un tracciato indifferenziato. Si sorridono allegri che non ci sarà per adesso alcuna una speranza di accordo. Ma forse sono le carezze dei capelli mossi dal vento a fare la differenza.

La scarsa educazione musicale -da cui queste vecchie ragazze sono affette- impedisce la felicità di pensare domani. È tutto un adesso dissestato su scarpe sbagliate. Queste vecchie donne infatti oscillano dal soffitto della strada su incerti tacchi. Per creare una società più armonica è necessario ridurre la socievolezza. Tutti dovrebbero essere assai meno disponibili. Sono la precisione e la severità che tengono insieme.

Qui invece c’è questa marea schiumosa di voci insensate. Per fortuna c’è anche questo vento che muove i capelli accarezzando le tempie. Ricreo nella mente il verso riposante ripetitivo delle cicale per sostenere questa attesa stagnante. Quando sei arrivata non ci siamo detti quasi nulla perché non volevamo squarciare la superficie del pantano. L’estensione delle cose immaginate copre le foreste della terra escludendo alternative. Siamo poverissimi ma leggeri. Voliamo tra la coperta umida del respiro degli alberi e l’aria rarefatta della terrazza di stelle. Ci stiamo abituando alle celle poetiche in cui siamo stati relegati avendo scoperto che l’origine materiale nostra e la fisica della fisiologia cerebrale, insieme, ci rendono imprecisi nell’iniziativa. Rapidi per approssimazioni amorose. Decisi, determinati, nell’incertezza trasparente dello sguardo umido di commozione. E torbido come quello di un ladro nei vicoli: il desiderio, sai.

Oggi ti ho registrato un disco. Si chiama Arte Dell’Ascolto ed è una fusione di rumori naturali e di creazioni musicali. Alcuni frammenti di brani li ho duplicati e ridotti e sovrapposti ad altri più lunghi. È un effetto che alle cicale si ispira. È l’amore nascente per la musica innaturale, creata dalla alterazione della musica in prima versione. Niente di nuovo: solo l’egoismo soggettivo introdotto nelle forme codificate anticamente. È solo per te e me. E la limitatezza di tale ‘ambizione’ riduce l’arroganza del progetto: essa risulta tanto modesta da variare il giudizio sulla composizione dei brani, in valutazione di una cosa ‘ridicola’. E poi il senso della sua ridicolaggine si muta in tenerezza.

È, il nuovo che non sapevo definire, questo trovare le parole esatte. Due, tre, non di più per avvicinarsi all’idea viva ancora priva di corrispondenza. L’intenzione di raccontare si ferma ad ogni ritrovamento, e non arriverò più alla conclusione. La nascita tiene la vita. Davanti una grande illimitatezza. Un campo di disseminate libertà. L’immaginazione non è prospettica. Il discorso si estende dovunque e l’ampiezza è intelligenza la cui qualità è l’acquietarsi.

avrai figli di infinita bellezza

Dunque tutta la musica incoerente. Tutta l’incoerente allegria che non tiene conto. Che non tiene di conto e di conti non sa farne per il suo analfabetismo e soprattutto la sua mancanza di malizia. Un grattare degli archi del violoncello è il suono insistente del pensiero. Camminare, cantare, contare, scorrere con lo sguardo sopra i campi tra casa e il mare. Oggi sono La Gioia Informale Sospesa. Io trascorro da pagina a pagina di libri differenti per evitare la continuità. Cos’ è stato che ha cambiato le mie predilezioni musicali? Cosicché poi sono cambiate le nostre reciproche disposizioni e addirittura la nostra postura. Una trasformazione fisica della materia che corrisponde alla perdita di un’abitudine. Sarà già irreversibile, mi chiedo, questo stato? I violoncelli si fanno vivi tutta la sera e mi permettono di stare vigile seguendo certe idee. I martelletti battono sulle stecche degli xilofoni. Una batteria incessante di xilofoni che mitraglia i bastioni: è l’asciuttezza. Gli archi si mantengono sufficientemente discosti di tono, quanto serve per escludere un accettazione acritica. Sempre volevo entrarti sotto la pelle e per sempre fermarmi li e li fermare la ricerca attiva e godere il vantaggio di essere te al confine del mondo. Sulla linea senza tempo del contatto immediato. Sono questo le parole: il fuoco continuamente acceso durante lo sfregare dei polpastrelli sulle cose che dura tutta la vita. Abbiamo perduto la possibilità un discorso sistematico noi. È per via di questa ipotesi. Pensare di essere continuamente posto tra te e le cose. Le sigarette il bordo del tavolo le matite il cucchiaio poi anche l’acqua cento volte al giorno. Avrai figli di infinita bellezza. Restando a lungo sotto la tua pelle – secondo il mio desiderio – posso dire che la bellezza è un idea non priva di estensione.

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il tradimento con una donna bellissima

La Duna de Pyla. Dipartimento della Gironda. Francia. Uno deve pur avere un illusorio punto di riferimento. Pur sapendo che è illusorio. Sapere della illusorietà del proprio punto di riferimento non è relativismo. È semmai aggancio all’unico altro punto originario di qualsiasi pensiero: il sospetto fondato dell’esistenza di un ‘altro’. Il discorso d’amore è il più apprezzato e desiderato sempre. Perché il discorso d’amore è una duna bianca tra foresta e mare: un sospetto fondato infinito e concreto. Prossimo e straziante. Il senso drammatico, della questione etica della conoscenza, è quanto l’altro incida nei nostri pensieri. Quanto possa, o gli sia consentito, o gli debba essere riservato di diritto, di essere un intruso amato. Quanto siamo in grado fino in fondo di lasciarci prendere dal discorso morale così inteso. Psicoterapia di gruppo e rapporto privato. Coscienza di appartenenza, delega irresponsabile all’arte delle nuvole, alla  rigida morfologia della fiaba implicita nella narrazione pubblica collettiva. Ma anche identità esclusiva del soggetto che ricorda e dimentica alternativamente la propria origine e collocazione sociale. Il proprio tornaconto e la svantaggiosa dolcezza delle intese  sono le braccia di un dilemma che ti cullano.

Una folla che dicesse la stessa frase non fa alcuna conoscenza. Forse un annuncio a proposito di quanto succede. Poi ci vorranno gli anni per verificare la competenza. Se il discorso amoroso è anche un discorso sull’amore non è chiaro. Non è chiaro quanto l’azione dell’affetto, che ci fa parlare, ci permetta anche di esprimere qualcosa che non è solo personale. Il discorso sull’interpretazione si era arrestato sulla duna della certezza: sapere che il ricordo che diventa sorriso è la traccia mnesica che potrebbe somigliare alla vitalità della nascita. Un modo della frase di riconoscenza intesa come capacità di ricreare una condizione precedente. Che diventa effetto somatico piuttosto che consapevolezza di una storia. Il sorriso come conseguenza mimica riassuntiva di una immagine che è immediatamente movimento e idea. Ma anche mutismo e silenzio. E diventa i propri passi incalzanti verso un angolo del tavolo, nel punto esatto in cui si erano appoggiate le palme delicate di lei, anni fa, mentre ci guardava disposta a ‘tutto’ quanto fosse stato necessario. Per noi.

Per interpretare bene non devo dire colate di cemento che sprofondino nel cuore della rena, ma innalzare una duna sopra tutto. Negli anni a partire da una scoperta(*) si erige o si scava. Vorrei che si fosse potuto erigere, seppure seguendo il miracolo della natura fredda e opaca. Erigere senza arroganza. “Se ti amo non devi fare altro. Non è una richiesta quando dico di amarti, è una resa. Riposati“. Ora che tutto si dipana e il gelato cola sulle mani senza che io mi preoccupi più di un ordine, adesso, per questo modo del tempo di colare dalle labbra sulle mani e anche a terra alla punta delle scarpe pulite, adesso non c’è più la preoccupazione. Semmai la ricerca vera senza alcun punto di riferimento esterno. C’è solo scrivere ogni tanto. Provare a rileggere appena, giusto per serrare le suture con l’asepsi di una minima punteggiatura. Le ferite brevi. Le incisioni decise. Il chiaro. Il nero. Il buio caldo delle palme delle mani sul ventre perché è forte la vicinanza e non c’è aria tra i lembi della pelle tua e mia. Il pensiero che non fa altro che derivare e determinare.

Ma ecco. Non era la Duna de Pyla. Non era il Dipartimento delle Gironda. Non era soltanto questo enorme volume di sabbia chiara. Non era soltanto la massa bionda dei capelli di una sirena che dorme lasciando che noi possiamo giocare lassù. Erano sempre pensieri. Sono sempre pensieri la realtà delle persone. Difficilissimo perché per capire bisogna trovare la dignità del tragico. Il senso del dramma. Bisogna opporsi alla stupidità. Invocare quei pochissimi rapporti in cui non ci sia da parte degli altri un tornaconto personale. Non ci sia la ‘resistenza’ potremmo dire. Bisogna dichiarare la morte naturale del padre. Che non è stato ucciso. Soltanto è che alla fine non ce l’ha più fatta a restare vivo in noi. Che ci siamo trovati a disposizione un linguaggio che non era più l’eco di comandamenti e consigli.

La scoperta che diceva ‘prima fare l’amore con la madre poi uccidere il padre’ rende in verità inutile l’omicidio. Ora bisogna che dica che senza la genialità affettuosa di un grande scrittore non avrei saputo comprendere la proposta difficile e poco articolata all’inizio, di una scoperta. Il tragico e il dramma che per amare una cosa vera bisognava passare dall’amore per una cosa solamente bella. Bellissima. Bisogna anche dire che ero andato a cercarmelo il tradimento con la bellezza. Che ho fatto benissimo. Che era con questo il tradimento.

‘Pensare come destino’ – Aldo Giorgio Gargani – da “Filosofia ’87” a cura di G. Vattimo – Laterza Edizioni.

“Noi non pensiamo il vero, se questo volesse significare che pensiamo qualcosa di incontrovertibile e eterno, ma la circostanza che non pensiamo il vero, non significa che noi non possiamo pensare veramente.”

“In un certo punto temporale della vita, un uomo si accorge che egli è il modo in cui è stato guardato dai suoi genitori e che porta su di sé, come se fossero iscrizioni incise sulla sua persona, gli sguardi del padre e della madre. È nel punto temporale di questa scoperta, che si compie l’esplosione della sua esistenza e ora egli getterà in modo vertiginoso sul tappeto tutti i suoi problemi. I problemi c’erano anche prima, ma non erano ancora ragioni che si potessero denunciare o rappresentare, perché essi erano piuttosto cause oscure del suo comportamento come se egli portasse iscritta sulla propria schiena una frase che naturalmente egli non sa leggere. E poi, ad un certo punto temporale della sua vita, egli scopre che i tratti della sua persona sono il modo in cui egli è stato guardato dai suoi genitori: è come se per la prima volta riuscisse a leggere la frase che era scritta sulla sua schiena; si è come dovuto rivoltare su se stesso per leggerla; e ora diremo che ha compiuto un’autentica acrobazia e che può cominciare a leggere e a interpretare sotto la luce che non si è accesa istantaneamente, e che è piuttosto l’illuminarsi dello sguardo dell’infanzia dalla quale proviene. Egli riesce a vedere perché da quella luce lontana si riverbera sul suo volto lo sguardo da cui è stato guardato. E’ da questo punto temporale che si dischiude la passione del pensare, e precisamente quell’energia passionale del pensiero nel quale la ragione non sta da sola e la passione non sta da sola; piuttosto la passione è originata dalla riflessione che a sua volta è motivata dalla passione, e ancora così, lungo una spirale senza fine.”

note: (*) il solito 1972, il solito “Istinto di Morte e Conoscenza” , sempre M. Fagioli…. e si veda tutto quanto precede il seguente articolo.

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cosmetici


Posted By on Giu 14, 2011

cosmetici

Un vestito bianco con linee di oro opaco costava cento euro e con quello potremmo sposarci – pensai. ‘…sarebbe l’ora di non temere i pensieri – ti ho detto – ‘…di dirci le paure e il terrore, il film dell’orrore che la vita era diventata quando l’esercito ogni sera si ritirava…’.

Scrosciavano applausi nelle orecchie nella doccia musicale, nel girotondo di suoni scelti: bella forza essere felici avendo selezionato il meglio di noi, esserci preparati nel pomeriggio per non sfigurare con le ben note creme per sciogliere le tensioni e tostare la pelle intorno agli occhi e sul dorso delle mani e all’interno degli avambracci ! così eccoci pronti per l’abbraccio, per l’esecuzione capitale, i fucili puntati, il plotone dei desideri.

Cento euro di cotone bianco con decorazioni di fili d’oro falso e veli, veli e balze di tessuto appena più pesante e opaco, per costituire una struttura fluttuante, e fare di una ragazza una promessa sposa. Tu avresti il coraggio di infilarti lenta nel bozzolo per dimenticare la vita. Dobbiamo fare la ricerca delle parole per mezzo del viaggio al centro della miniera di cotone di carbone, fino a sbucare da noi, fino a dove ci eravamo perduti. ‘…sarebbe l’ora di non temere i pensieri..’ – ti ho detto.

‘… dirci le paure e il terrore, il film dell’orrore che la vita era diventata quando le certezze si erano impadronite di noi, e avevano scacciato gli emigranti dalle frontiere, e sparato ai nomadi, ai giganti che si appropriano comunque del deserto perché hanno la dimensione delle ombre al calare del sole e non puoi farci nulla’.

Il pensiero, che si estende oltre la coscienza, e fa la resurrezione della carne ogni volta che dormo addosso al tuo ventre -chi ha detto che l’amore non esiste….- è l’ombra del guerriero nomade che indugia, e si getta oltre la schiena la giornata, il guerriero che si oppone alla logica del lavoro servile, e lo fa con la battaglia dei passi lungo curve imprevedibili nelle contrade dove non c’è nulla da guadagnare, ed è evidente che tre cose non ha che tutti hanno: le malattie della pelle, le aspettative, e il bisogno di una visione condivisa del mondo.

Non ha frequentato i licei occidentali fino all’ultimo anno, quell’anno dove si impara l’idealismo con quel che segue, ma non si impara mai del tutto bene che quel che segue all’idealismo siamo noi e le giacche blu e la tristezza romantica e il cinismo e l’idea della inevitabilità (provvidenziale addirittura sembrerebbe in questi atei devoti) della lotta di classe e la convinzione che c’è una nostra valigia di rabbia da posare alla porta di casa delle ragazze dismesse. Delle donne dimesse. Delle obbedienti. Delle belle lontane. Per orrore della eccitazione del suono delle loro parole dietro gli stipiti sigillati.

La giornata di lavoro del guerriero, alla fine, ha ogni volta il matrimonio -sulla soglia delle tende- con donne scivolate dentro palazzi di cotone bianco fin dalla mattina, donne che là sono sfacciati monumenti alle attese, grattacieli luminosi di telegrammi di parole precipitose e irrimandabili, colonne di marmo rosa che offrono al cielo la solitudine femminile, sono opere d’arte sotto forma di parole: dice chi le ha viste che siano donne-cicogne, che siano nuvole di fumo profumato.

Date queste parole, l’ultima promessa, per stanotte, la morte delle grida nell’aria che scivola via nell’ultimo sospiro, non avendo voluto saperne di nient’altro che d’ombra. Il tuo respiro nel sonno è una serpe sottile di verde smeraldo e nero lucente che scivola dalle narici, si muove lungo il mio braccio, fa un laccio al polso, morde la pelle, penetra senza veleno: è il sogno dei matrimoni nel deserto, della ricerca delle parole, una ricerca che possono fare tutti perché non costa niente: solo la ben nota stanchezza irrimandabile che conclude la giornata.

Questi sogni sono la clausola della stanchezza secondaria alla lotta che inizia ogni mattina per non disperdere la parole, sono parte costituente del fenomeno della vitalità, che è norma di una funzione e anche sanità di organismo. Il castello di bianco e balze di fili d’oro ha scintillato e sfrigolato, ha fatto arrostire sulle griglie neuronali le file di parole che portano a te che ti insinui nel palazzo della sabbia di avorio bianco e tra le foglie dell’albero: la possibilità di te da aggiungere al giorno ha generato il racconto cosciente delle figure di matrimoni, di castelli, dell’ oro giallo e del colore indefinito del candore, del cotone e delle sabbie.

Tutto questo agitato cercare si è placato nel bicchiere di latte, quando mi sono seduto nel divanetto del bar, all’ombra delle undici di stamattina, quando sono riuscito a restare almeno un poco quieto, seduto come non ci fosse più pensiero cosciente o rappresentazione figurata del mondo, come se non ci fosse che mondo percepito senza influenze soggettive, senza neanche un mio personale parere in proposito di qualunque cosa, come se la materia viva delle aree e dei nidi di cellule -nella galassia della materia cerebrale- avesse subito un fenomeno di assorbimento nella  neutralità strutturale della biologia della natura senza vita. Solo il bianco del latte è rimasto a fare argine al mondo subito oltre la frontiera del piano del tavolo di ferro battuto.

Poi.

Ho mosso la mano verso il foglietto elettronico, volevo scrivere del serpentello di nero lucido e di verde e della mano tra le foglie e del morso al polso. Ho mosso la mano per raccontare lo sviluppo dei pensiero nel moto della materia, la vitalità nei legami tra le parole, nei legami tra le parole -in trasparenza- l’attività delle sinapsi che, nel ricreare l’impronta di un  pensiero -prima che diventi figura- generano impulsi divergenti sull’area corticale invasa elettricamente rendendo irreversibile la direzione della genesi della attività del pensiero dalla biologia.

Il pensiero funziona secondo una modalità ‘estetica’ dell’entropia, un marchio vettoriale implicito nella forma stessa dell’immagine, che fonda la sostanziale discontinuità degli eventi creativi dell’attività mentale umana. Nessuno potrà eseguire l’esperimento di rifare al contrario quel percorso, poiché la vitalità è una forma della biologia -acquisita una volta per tutte nell’uomo- una forma che si oppone all’azione retrograda del gesto bio-elettrico che genera l’idea che l’uomo si fa del mondo.

Il serpente verde-nero del tuo fiato scivola al polso, morde senza veleno con i denti d’avorio nel fascio di fili d’avorio dei tendini del polso, attiva il movimento della scrittura, e le parole si consumano e si esauriscono per sempre nell’inchiostro sul foglio. Nel frattempo le immagini, legate alle parole che manifestano una capacità linguistica di narrare gli eventi tra le figure, perdono in me il loro fascino così che non avrò più la voglia di ripeterle.

In quella perdita di fascinazione delle figure di una rappresentazione mentale, conseguente alla capacità linguistica di dire le idee, sta la certezza che il pensiero umano si realizza in assenza di corrispondenza biunivoca come noi percorressimo -pensando- un moto irreversibile. C’è una bellezza in quel moto dalla materia al pensiero cosicché c’è una scienza dell’identità come fisiologia della biologia che si oppone al capriccioso a-priori della irrealtà dello spirito. Tu ed io siamo irripetibilità di eventi di non trascurabile stupore, siamo la divergente costanza della nostra vita psichica. Nell’impossibilità di questo amore troppo grande, come si lamentano gli amanti infelici, la materia fa i passi bioelettrici necessari per sostenere la retorica asciutta dell’identità.

Gli scienziati costruiranno macchine elettroniche che, con amplificazioni di dismisure altrimenti insignificanti, produrranno una figurazione dei pensieri attraverso registrazioni e misurazioni opportunamente decifrate da elegantissimi algoritmi. Mi chiedo da molti anni se siano al corrente che l’immagine non ha figura. Se si sono posti il pensiero che il non saperlo possa provocare una impossibilità di conoscenza e una ignoranza scientifica. L’irrepetibilità della azione del pensiero, quando genera immagini, si lega alle ipotesi di una identità fondata su ‘leggi’ della materia.

Per questo la vitalità di qualsiasi linguaggio che si sia opposto efficacemente alla propria ripetizione ha sempre suscitato la negazione.

(nota: la descrizione dell’immagine è : “Michael Maier, Atalanta fugiens, 1617: Il Sole e la Luna – Apollo e Diana – domano le serpi che emergono dall’oceano inconscio.”  L’immagine del sole e della luna ancora suscita suggestioni di una antropologia dell’uomo che sarebbe scisso tra una coscienza ‘sana’ e un ‘inconscio’ mostruoso’. Non si pensi dunque che sarà mai sufficiente opporre una possibilità differente. La sottovalutazione del problema della ossessiva riproposizione di una perversione dell’uomo è…invidia al servizio dell’invidia.)

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il mare e i fiori


Posted By on Apr 8, 2011

il mare e i fiori

la scrittura la meraviglia la distanza l’assenza gli splendori dei centri barocchi la successione incalzante i pensieri fastosi le pratiche di inaugurazione il varo bruciante la nave a vela la scuola primaria assordante di bimbi il tempo delle scelte i fiori in mare essere bravi la tempestività in amore i banchetti della frutta le piazze dei metafisici la cessazione dei procedimenti di istituzione della colpa la risoluzione dei contratti di sfruttamento da parte del padrone i cortili dietro alle case popolari l’aria precipitosa dalla gola fino alle labbra le questioni di vita e di morte gli accordi sperati l’infelicità per quello che è la prevalenza su tutto delle parole il tempo con il volto incomparabile di donna il testo della commedia essere tutto un pretendere le pareti il palcoscenico il sapere certe cose da sempre la vita in una parola ieri notte il dire qualcosa ogni momento guardare te letteralmente sempre i volti le cose dense nelle mani la certezza improvvisa il linguaggio i custodi la breve durata quello che manca tutt’ora gli esseri umani che comprarono fiori mentre altri dormono quelli che avevano comprato i fiori che tornano a sedersi sul bordo del letto degli altri che sono rimasti in qualche modo a dormire  forse in qualche modo a morire  per una ragione che non si saprà mai forse un sonno magico o un’indifferenza un odio una perdita del rapporto con il tempo della vita i primi che continuano a tornare facendo il mondo sempre più luminoso senza sapere perché neanche loro ma sempre con una bellezza tra le mani sempre con le proposizioni allegre sempre primi al banco delle scommesse della vita quotidiana con i fiori quelli come certezze viventi e tutta la annosa questione delle tazze di caffè caldo e tutto il processo di ricerca sulle  gradazioni della penombra e del nero della penombra e insomma quelli che sono tutto un confidare nel colore dei petali dei tulipani e gli altri che restano silenziosi a fare il mondo sempre meno comprensibile e dunque capacitarsi per quanto non si sarebbe davvero pensato che è tutta una sfida tra i tulipani e il sonno quando il sonno assume le qualità della morte anche se i fiori oggi viene da gettarli tutti in mare perché in mare oggi ci sono persone che di certo non tornano e anche se tornano sarà impossibile fare qualcosa più che contarne i volti restare con i fiori tra le mani di fronte a quelli che continuano a dormire in una tomba di silenzio non sapere cosa fare per sovrastare quel silenzio sul mare avere la comprensione che si realizza perché la materia viene colpita dallo stimolo di un ricordo uguale a questo presente indicibile.

La sanità della mente realizza la continuità del rapporto con il presente evitando l’anaffettività di fronte al disumano con la creazione di pensieri che sono inevitabilmente figure piene di dolore: ‘.. il mare e i fiori…’

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