Posts Tagged "felicità"


dopo anni


Posted By on Giu 7, 2011

dopo anni

Forse stava preparando qualcosa di bello, da farci essere fieri tutti, lui, noi, i molti amici, le persone attorno, negli attimi rapidi che concedeva correndo l’ingresso tra le siepi del giardino che lo riportavano a casa, dalle strade del lavoro e degli amori, e viceversa. Era un sorriso silenzioso, uno “…ciao …” incredibilmente intimidito: da far paura, da uno così. O forse era crescita e sapienza, silenzio e gioia, in una parola serietà. Eravamo spettatori ai margini di un area di tempo che non poteva creare nostalgia, o al massimo una nostalgia del presente. Quegli attimi erano l’unica cosa che avemmo per anni senza lamentarci mai perché, adesso è diventato evidente, si era assunto l’obbligo pesante di insegnarci a fidarci di lui. Il sottoscala dove vivevamo allora – senza sperare di poter avere mai più di meglio – veniva quotidianamente abbellito da ritorni e uscite sempre più lievi, la cui leggerezza non arrivò mai a farci temere l’indifferenza, ma ci rese certi della nostra inadeguatezza, che poi diventava un peso che ci tenemmo in silenzio come se, a dichiararlo, il dolore, potesse animarsi e diventare una cosa irreparabile. Come in un sogno, tutto quello che ci succedeva, tutta quella vita interiore e anche tutte quelle cose che facevamo vivendo vicini, riuscivamo ad alienarle ai nostri stessi pensieri, come tutto quello fosse non la nostra vita né più né meno, ma il ‘racconto’ della nostra vita. Solo così credo che potessimo mantenere il sorriso e i modesti ma indispensabili progetti: un fiore da seminare, la cattura di un topolino, le parole indignate di fronte alle diseguaglianze, la decisione di uscire per la nostra pizza preferita, vedrai che pioverà come al solito, accettare tutto il tempo, l’altro tempo, non quello atmosferico: il tempo necessario alla vita con gli altri. La  mia vita aveva forma certa di nuvola, altrettanto certa doveva essere la forma che la vita allora assunse per loro, gli altri accanto a me, perchè non la scambiavamo mai con nessuno, con nessuno cadevamo in esempi sulla nostra vita di quegli anni, e tutti avevamo la fierezza di un atleta che si massaggia i muscoli prima del salto, il volo verso la sabbia lontana dieci metri più in là, dove nessuno arriverebbe di tutti quelli che stanno ad agitarsi attorno. La vita era la passione di dinieghi educati e incontrovertibili, dopo anni e anni ad assentire, e l’animo aveva forma di quel volo atteso verso la pozza di sabbia finissima, creata sapientemente per evitare le ferite  quando il corpo angelico del saltatore sfugge al sogno. Si decideva di uscire a camminare, di soppiatto, come andare ad una festa proibita, come quadri viventi della voglia di vivere. Spesso ci raccontavamo di noi, di come ci vedevamo. E il racconto della scena delle figure le faceva svanire nel suono delle parole, e il pensiero era libero di tornare alle immagini. Tornare alle immagini era di fatto il nostro tacere alla fine delle narrazioni, l’acquietarsi del pensiero affaticato nella culla della materia da cui si era sollevato per dire la nostra felicita. Eravamo piccoli guerrieri alla tavola apparecchiata di noci, che recuperavano progressivamente uno stare insieme come condizione fisiologica del benessere di una impervia modestia. Quelle notti di racconti preludevano alla caduta nel sonno profondo, al cuore del quale si annidava il segreto della vita del pensiero umano. Dopo ore veniva il sogno che portava di fronte agli occhi movimenti rapidi ed imprevedibili di protagonisti diversi. Era la mente allegorica che mandava i sogni in cui si pensava con figure, si subiva l’irruzione di ‘cose’ nei modi del pensiero vigile, si sospendeva il sonno del corpo che ritrova la nascita, per la consolazione di ricostruire una forma di movimento attraverso gli scarti degli occhi che seguivano la descrizione mentale delle azioni immaginate. Quali idee si nascondevano in quel correre amare parlare, nel ritorno da scuola, nel ritorno dalle battaglie, nelle soste nei cortili dopo la resistenza alla violenza dell’approssimazione e dell’ignoranza, nelle ombre lungo il viale del giardino che riportava sempre a casa, nella linea obliqua del sottoscala, nell’eccitazione del profumo di origano e salvia sulle mani delle donne ardenti e infine – solo per dire di una singola notte – nel colore scuro delle giacche degli uomini tessute di tabacco e cotone grezzo – io adesso non voglio indagare. So che l’irruzione dei sogni ci svegliava, e per la maggiore gloria nostra dico che scuotevamo la testa a quelle rappresentazioni notturne di drammi e sortilegi, e si tornava una seconda volta alla materia del sonno, alla natura umana del riposo, alla culla biologica delle funzioni complesse. Il mondo intero sprofondava nel buio. L’io perdeva la coscienza e cadeva nel sonno. Ogni tanto, nel sonno, un sogno sfolgorava. Ma per ore l’io senza coscienza, privo di ogni figura e narrazione, sfidava la cecità del buio – che conteneva il cielo e l’universo – con la costanza del calore, con la marea ampia del respiro, e con la polvere incorruttibile del silenzio.

Dopo tantissimi anni: “… è in quel sonno senza sogni il massimo della vitalità ? “

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enigma


Posted By on Mag 24, 2011

enigma

Enigma era la macchina per crittogrfare la posizione di subdole macchine sommergibili e solo intelligenze acutissime si scontravano con sigle da ricordare per evitare stragi altrimenti indimenticabili così ADU divenne Angeli Danzano Uniti ed aeree figure tenevano salda nelle grinfie la fonetica di una serialità codificata di trasmissioni incomprensibili e le parole scritte per ricordare fonemi senza alcun significato di concetto compiuto restano ancora come figure che tengono l’immagine del gioco linguistico che fissa nelle iniziali la sigla che rimanda ad un altro segreto: le figure degli angeli sono intatte nella loro utile insignificanza tanto libere che un artista a partire da là potrebbe anche incidere un acquaforte che unisca terra e cielo per fare il volume che la notte si ripiega e si sistema accanto al cuscino il volume che ruotando tutto attorno all’asse della sua costola  fa una piccola bibbia che riunisce la materia e lo spirito, il tratto dei segni della scrittura e l’invisibile astrazione del pensiero espresso nel racconto.

Enigma non avrebbe saputo decrittare i mari elettroencefalografici che inondavano da anni le scrivanie dei dottori tra le onde cercando verità sommerse e sommergibili che agitavano la superficie e non si appiattivano più se non come segno della fine dell’essere al mondo della realtà umana che origina dall’inagurazione della vitalità alla nascita e non si fermerà mai neanche nel sonno – nel riposare incoscienti – che ripropone il trattato di fisiologia del pensiero che si basa sul raccontare che non è il nulla a muovere i tracciati e spostare istericamente o ad onde lente i pennini allineati sui rotoli di carta che dispiegandosi attorno alla costole del proprio asse stampante uniscono la realtà materiale della biologia, attraversata dalla fisica dell’energia bioelettrica, alla macchina enigmatica della mimica dei volti dei dormienti, che vivono di apparizioni e vicende mai accadute. Non è il nulla a muovere i pennini ma l’evidenza eclatante di realizzazioni di pensiero che sono irriconoscibili nei tratti neri di inchiostro e poi immediatamente limpidi nel racconto che mette in fila suoni e ricordo appena schiarita la stanza stamattina alla fine dell’esperimento di un tracciato nel sonno.

Angeli Danzano Uniti e l’ assenza di coscienza riduce a vitalità pura il pensiero nel sonno la vita mentale sottratta al lavorio della presa d’atto cosciente affidata esclusivamente al destino probabilistico di fluttuazioni energetiche che potremmo chiamare vicende biologiche del sonno cosicché si può instaurare un confronto tra biologia destino immagine colpa figura malattia tempo (di natura). E tempo (umano).

Come Angeli (che) Danzano Uniti, alla nascita forse sfuggiamo la morte, lasciando la biologia genericamente animale alle spalle per andare verso la vita che sfrutta i processi energetici, sottoposti alle leggi di massa calore direzione entropia, per creare le parole i segni le curve e l’incoscienza che conducono la biologia al pensiero umano e nel Pensiero Umano la Macchina Enigma si chiama Vitalità, condizione spaziotemporale di un comporsi dello stato fisico della materia che fonda un tempo inverso a quello della fisica decadente delle cose sempre a rischio sul ciglio degli imbuti gravitazionali o sul limitare delle trappole della logica consequenziale della ragione o liberi, se proprio si vuole estremizzare, d’essere adottati alle sparizioni e riapparizioni quantistiche col difetto comune che tuttavia le leggi della fisica non risolvono ancora i comportamenti del pensiero che torna sempre alla materia e la influenza continuamente di nuovo e se una volta non dovesse accadere, perché aria dal sen fuggita esso diventa ‘spirito’ irreale ed irraggiungibile noi diveniamo sottratti d’ogni bene e privati di pensiero eccoci tutta disperazione ed infelicità se non ancora follia.

I pensieri sono Angeli Che Danzano Uniti e la poesia è la Macchina Enigma che decifra sulla tastiera luminosa il testo oscuro della tastiera soprastante: ma non spiega, solo traduce fa un testo nuovo, non c’è pensiero cosciente del proprio scoprire l’immagine perché l’immagine è il successo della comprensione che è il mettere assieme le parole in un certo modo che è il nostro transitorio e allegro defilarsi dal centro dell’obiettivo ed è anche fondare i pilastri della foto sui margini dell’inquadratura e abbracciarti scartando lievemente dal tuo cuore. Enigma è una cena con amori numerosi e spiedi di quello che continua e menù di carni bianche ora che la disappetenza non compare più nella carta dei secondi piatti e invece ci viene elargita la misura di saper fermare il movimento, giusto in tempo. Giusto il tempo necessario a chiedersi se nascere sia scampare al destino specifico della biologia genericamente animale per andare alla vita secondo la natura di tempi non più naturali, tempi di una natura che la natura non contiene dei quali non fornisce alcun plausibile sospetto.

Ora fuori da quei tempi di coniugazione delle successioni del creato risulta di una allarmante evidenza l’ inutilità di tutto quell’osservare, interrogare, di tutto quel contemplativo illusionistico instupidirsi in decifrazioni fantastiche sulle nuvole, sul destino del nuoto di un castoro, sulla implicita necessita delle navigazioni sghembe degli orsi polari tra gli iceberg senza alcuna geografia. Ora che l’illusionista ci ha posto sulle dita il codice che rende chiaro l’inganno del finalismo delle migrazioni degli alci e della fioritura della magnolia nel giardino dei dignitari giapponesi e nella corte disadorna della casa popolare dove tutti noi ci si riunisce in poco a caso, per cene e feste dove con una trascurata svogliatezza tuttavia l’amore si sviluppa per aiutarci a sostenere anche l’autunno poiché noi tutti abbiamo ben chiaro che altrimenti non sapremmo sopravvivere alla certezza che nel panorama dello sguardo oggettivo non c’è alcuna perseveranza di bellezza nella ripetizione delle cose via via che se ne determina una fisionomia di vecchiezza.

L’istituirsi della variazione irreversibile del modo di funzionare della materia cerebrale alla nascita potrebbe fare l’origine del tempo che poi adesso che molto è accaduto nella mente può essere detto con parole – e sottratto sia al silenzio sia al segreto dell’ignoranza e dell’impotenza linguistica – ‘origine del tempo’. Ora che la metafora guerresca di battaglie sul mare e di forze sommerse e sommergibili costruite per le stragi provvidenziali o catastrofiche secondo il verso da cui si guarda il colore meraviglioso dell’oceano invernale – ora che tutto questo ci ha fornito la allegoria – allora adesso si può affermare che mai diventa spirito il pensiero umano che può essere decifrato da una macchina solo se contiene intenzioni coscienti da arruffare e ricomporre come sedare una rabbiosa rivolta di pochi disperati che rabbia e disperazione rendono prevedibili.

Vitalità è suono di una parola che non ha immagine perché è realtà di una trasformazione dello stato fisico della materia e scoperta di una realtà della condizione clinica dell’essere umano che si instaura alla nascita e le cui variabili disposizioni nel tempo cambiano gli stati della vita dei soggetti. Di fronte alla complessità di questa funzione restiamo sopraffatti da un gioco di parole, distesi come se fosse possibile solo una dimensione femminile perché agire con movimenti muscolari che alterano i rapporti spaziali esterni per dire di più o riportare quanto appena immaginato possibile ai termini di una maggiore semplicità, si sa essere violenza come è violenza la proclamazione di eroi nel mondo originario costituito secondo la regola bidimensionale del piano sul quale la linea distingue porzioni un poco differenti: cieli, brughiere, macchie scure, tutto questo contro sfondi possibili.

Sopraffatti non vinti neppure dispersi e neanche atterriti o disperati semmai senza bisogno di un senso imposto dall’esterno abbiamo tuttavia una realtà contestuale, un sottostante cielo, una tastiera che si illumina quando altri battono i tasti della tastiera opaca sovrastante e allora diventiamo Testi In Chiaro: Angeli (che) Danzano Uniti ed ogni parola resta un riparo seppure non ancora del tutto la nostra ’casa’.

Ci accostiamo a tentare una serie di termini sconosciuti alla biologia (*) : destino, immagine, colpa, figura, malattia, tempo di natura, tempo umano, nulla, vitalità, vita, rapporto, storia, scoperta, genialità, bellezza, fallimento, resistenza, opposizione, dolore.

(*) ( ed alienati nella irrealtà di una loro natura ‘spirituale’ )

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palme


Posted By on Mag 17, 2011

palme

Divampa una aridità che liscia le ferite inflitte dalle palme mi ero arrampicato fino su in alto senza sapere come una piccola vedetta deamicisiana per via della solita spinta alle regressioni per via che nel poco mi ritrovo durante una ricerca di quasi trent’anni ho appreso a lasciar perdere la maggior parte delle seduzioni perché sono forme di violenza quasi sempre così mi tenevo alla palma e mi sono ferito una mano le foglie giovani non molto tagliano ma le vecchie legnose e secche si quelle sono come lame ed eccomi senza quasi più voglia di punti e virgole per non insanguinare il foglio.

Mi dicono che dovrei essere più socievole ma mi contento di poco anch’io mi sono chiesto se fosse autismo ma no perché dopo le ferite mi sono fatto curare dall’infermiera del reparto nell’ospedale nel deserto e sorridere mi sono lasciato e ci ho fatto anche un pensierino nonostante l’età, la mia non la sua, è bello vedere che il sangue delle ferite porta alla mente il rapporto sessuale possibile forse il lasciarsi curare la mano la scusa delle ferite per via delle foglie taglienti di palma vecchia e poi l’arsura della sete ha un erotismo siamo tutti operai sudati e assetati sotto il sole dell’imperialismo capitalistico tutti oggetti da fotoreporter delle ribellioni terzomondiste alla fine una ferita regala una dignità che un semplice rapporto da pizzeria o supermercato ma anche da aperitivo neanche ci si avvicna.

Oggi c’è una voglia di ridere e scrivere come si fosse aperta una chiusa della diga nella terra di mezzo oggi è tutto un essere assetati e dissetati meglio essere assetati e forse potersi dissetare in fondo non importa morire di sete è il prima la sete rovente le ferite lisce che dolgono ma non suppurano perché il sole arde e brucia i tentativi di aggressione infetta è arrivato questo sole forte ero qua nel deserto della tristezza umida piena di viandanti alle vie sacre e me ne stavo da una parte la mia meta non era il santuario non si sa perché alcuni non sono indotti a fidarsi degli dei e scrivevo in terra con un rametto di pesco secco sulla polvere pensavo non trovo i punti e le virgole gli occhi non ne tengono conto il pensiero non ha da eccepire guardavo la città e la strada piena di viandanti come se sfogliassi le foto nel mio raccoglitore a casa mia di un tempo.

La punteggiatura è una conclusione di tutto definisce serve a rendere il discorso ordinato facilita fa retorica io per mia potenza ho il sangue sulle mani rido sulla palma nel centro dove si dipartono le foglie grandi come tappeti quelle foglie palmate sto nel centro della figura a contrasto col sole sembro un ragazzino infilato nei capelli di un gigante rido per una mia ragione da poco per aver superato una incomprensione e mi inoltro scivolando nel cuore della foresta mi reinvento un cuore meno occidentale un cuore sahariano da legionario per incontrarmi con altri in vie diverse da questa dei pellegrini devoti una strada dove trarre spunto continuamente dal seno ricco delle infermiere disseminate sulle piazzole di sosta per curare i tagli sulle mie mani dovuti alle foglie secche di palma vecchia dove tutto ogni volta ricomincia per la disperazione dei penitenti.

C’è un dire in sospeso che riguarda due parole vitalità e immagine un dire ripreso sempre più frequentemente da alcuni assai avvertiti della scienza contemporanea sul pensiero degli esseri umani sulla genesi della stessa specificità dell’essere umani degli esseri umani e questo dire di vitalità e immagine necessita di una impudenza per essere affrontato dato che ha avuto origine nel tragitto tra il becco della cicogna e il nido di foglie sulle palme della mezzaluna fertile mediorientale e non si poteva far nascere la scoperta tra le fabbriche del nord invase dalle urla dei magnati del capitalismo imperialistico alla maniera degli zar dei re dei dittatori e dei papi e degli imam non si poteva semplicemente e è necessario adesso che si riprenda il fiato così ero andato in cima alle palme del deserto a cercare aria e mi ero ferito le mani e poi avevo avuto un rapporto di innamoramento con l’infermiera dell’ospedale del deserto ed era l’unica anima viva a parte me e i globuli rossi del mio sangue che precipitavano nella sabbia e poi sul pavimento di cemento bianco delle corsie ospedaliere nell’oasi.

Questioni africane e nordafricane e di stanze di cura e di preferenze in quanto al taglio degli occhi su certe forme di volti indecifrabili balenanti tra scintillìi di sabbiose passioni notturne e anche si tratta di certe canzoni per scuotere dall’immobilità lo scorpione domestico che pare dormire nella conca di vetro che gli evita di uscire per uccidere c’è di fatto nella tradizione di una tribù nuova appena scoperta la canzone che scuote dal nulla la morte e agita racconta di come il pensiero inoffensivo nomina il nemico racconta di come noi con la poesia irridiamo la vita quando diventa inospitale proprio perché diventa così cattiva e di come la fine il terminare delle cose vengono irretiti presi a loro volta al laccio tra le parole che dicono le idee così insieme tra pareti adatte noi possiamo dedicarci al cibo e alla conversazione compiuta mentre culliamo ogni irreversibilità tra le palme delle mani unite come un vassoio d’oro matasse di filamenti di una pianta velenosa che scivola qua e là sotto i nostri occhi buoni che consentono movimenti finissimi alle mani per non lasciar cadere neanche un grammo di sostanza poi riponiamo nelle gabbie di silenzio tutto quanto se viene il momento delle ombre da accarezzare.

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il mondo esterno


Posted By on Apr 4, 2011

il mondo esterno

Il mondo esterno eccita i percorsi cellulari della sensazione, attraverso la quale, continuamente, veniamo restituiti a noi stessi. Diveniamo disomogenei ed incoerenti soggetti di un mondo intimo che è pieno di cose – nessuna delle quali occupa alcuno spazio – grazie all’impatto sensoriale delle innumerevoli forme di realtà più o meno dotate di vita e movimento illuminate dal sole. Il pensiero ‘umano’ – più di una singolare coscienza – è una azione di persistenza che circonda e ridefinisce, senza riposo, aree grandi di calma disabitata, interruzioni, strappi sulle pareti verticali di roccia, cadute di pietre dalla cupola, l’azzurro scuro sotterraneo, ogni varietà di volo, le sospensioni, la trasparenza delle barriere, la mancanza di fantasia, la natura profonda della conoscenza ed ogni altra azione del pensiero quando il pensiero non è semplice appropriazione di cose, descrizione di oggetti e cronaca di successioni. L’esterno ci accarezza, ed evoca la materia umana a reagire agli stimoli. Il corpo è un microscopio di precisione, intrattiene commerci, esercita traffici, al fine di realizzare lo scambio di tutte le cose possibili con l’ottenimento di una felicità. Siamo cellule illimitatamente vedenti. Le sensazioni infinite stimolano impressioni – originate direttamente dalla materia della sostanza cerebrale – mai percepite in forma di ‘figure’. Pensiamo oggetti mai esistiti. Sono necessarie parole esatte in una esatta composizione, per esprimere la fisiologia di una tale trasformazione, grazie alla quale la realtà materiale degli oggetti, percepiti nello spazio esterno, si trasforma nella realtà della vita fisica del pensiero, che non occupa nessuno spazio. La creazione di ‘immagini’ che non derivano esclusivamente dalla percezione di un oggetto illusoriamente ‘sottratto’ al mondo tramite l’attività fisiologica della visione oculare – consente di cercare e pretendere forme di relazione in cui gli esseri umani non siano mai più padroni gli uni degli altri.

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la tana del jazz


Posted By on Mar 25, 2011

la tana del jazz

Una memoria d’uomo che non riesce a piovere, che non si stacca da lassù, una colla tiepida sulle dita, un albume salato, un toccare il cielo. La bravura è di saper pensare solo nell’ALTRO solo sulla linea della tensione che ci unisce sebbene siano i giganti a dominare. Forse bravura e’ l’amore per la materia del dubbio, legarsi appassionati ad ogni singola parola della SUA domanda, prendere nota con attenzione delle forze molecolari dello sfondo, scrivere una canzone per ognuna delle brevi frasi e infine fare piani sequenza della fisionomia delle parole: per tutte le ‘n’ parole -diligentemente computate- che dice. Ripetere le ’n’ parole a cercare nei segreti legami il non detto del pensiero, Respirare addosso all’insenatura. Sfruttare il silenzio accogliente delle riprese e dimenticare. Stare accanto al focolare del discorso ed aspirare il fumo nucleare come gli eroi hanno respirato la morte atomica. L’interesse verrà suscitato da meno-ancora, da pochissimo, dalla compressione dell’etica quando si fa addosso alla linea del confine che non è che una linea di immor(t)alità.

Il tempo di un discorso ineccepibile è imposto. Necessita di  accordi con illusionisti, collaborazioni con i sapienti e prolungati e ripetuti pianti con l’ALTRO. E’ scoprire di illudersi se si pensa di possedere la dignità dei migranti e la nobiltà degli ultimi. Così bisognerà succhiare via sangue e veleno dal morso simmetrico della vipera. Bisognerà rispondere a due suoni : ‘tutti’ e ‘altro’ cioé identità e uguaglianza. Si oscura la ragione nel compiere il discorso dall’inizio. Si ricorre all’atteggiamento psicologico degli alchimisti. Lo scurirsi del cielo un opera al nero. Il nero la preparazione delle tele di Caravaggio. Il nero cattura la luce e si diventa pittori di costa in piena aria, e con lui, anzitempo, -in vantaggioso anticipo- ci si prende gioco del futuro.

Il pensiero diventa pittore di guitti di ultimi di lussuriosi di frutti fiori volti schiene, di peccatori scommettitori sommersi bari perdonati ultimi. Impara a morire -il pensiero inseguito ricercato interdetto accusato e deriso- su una spiaggia tirrenica alle porte del cuore. Si resta legati al furto della luce nel nero del sogno. Nel sogno le selve di spade per strade troppo strette feriscono non volendo e le macchie rosse qualificano il timbro della passeggiata mai innocua. Nel nero: allevare sviluppare nutrire il pensiero del coraggio necessario alla vicinanza di essere per sempre contemporanei a coloro che hanno traversato tutti i tempi. Risveglio: si resta sulla tela sotto gli occhi di dio, nelle SUE mani, di LEI !!!!

Confonderò la mia pedanteria con strategie alla crema. Sedurrò Turandot con tinte ad olio profumate di lino. Devo stordirla con la classicità. Devo farmi ospitare una notte nella tana del jazz tra un amplificatore a valvole e una pagina web fresca di pasta cerebrale appena spremuta. Dobbiamo progettare musica danza e parole solo perché siamo amici intimi ed e’ primavera e non vogliamo morire secondo la volontà e i modi di un dio selvaggio e stralunato.

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