Posts Tagged "linguaggio"


luce dietro le persiane


Posted By on Feb 22, 2013

julian & eduardo

julian & eduardo

JULIAN BECK THEANDRIC: IL TESTAMENTO ARTISTICO DEL FONDATORE DEL LIVING THEATRE
EDIZIONI SOCRATES -ROMA 1994
pagine 269, 270, 271

Julian Beck – Alès – 29 luglio 1982 –

Canti della Rivoluzione 2

” non avrei mai immaginato / che dopo l’ondata / e il gioco di lunghi capelli / maschili cresciuti nella / ribellione degli anni sessanta / che i capelli tagliati / in foggia militare / sarebbero tornati di moda / negli anni ottanta /

non avevo previsto / quando abbandonammo / lo stile abituale di / abiti conformisti / in favore della liberazione / dell’individuo semplicemente / infrangendo le leggi del vestire / che giacca e cravatta / si sarebbero di nuovo chiuse / sulle costole e sulla volontà / come un tributo alla foto del ricco / e della ricchezza /

pensavo che proprio al limite del / giusto grado di povertà il nostro pensiero potesse posarsi / risplendendo nella luce del sole / e non pensavo / che così come niente saremmo tornati / al topazio della ricchezza / indossando abiti come se stessimo / indossando potere

non immaginavo / quando parlavamo di libero amore / che potesse trasformare il sesso / nel gioco del calcio / un gioco libero / pieno di sconfitti/ non mi rendevo conto / quando le folle di anarchici / cominciavano a riapparire / sulle colline dell’arno / e del po / che essi erano unidimensionali / amabili ma senza sufficiente sostanza / per affrontare gli incombenti / disordini / e il nostro atavismo barbaro / e molti fondatori hanno pianto / per la loro unidimensionale / previsione / e vista la loro dinamite / far esplodere città / la loro fisica del volo usata / per il terrore /

non avevo previsto / quanto fossero insidiosi i baci della / democrazia (*)/ credo che tutti desiderino / passare a un livello superiore / volando al di là / dei limiti meschini /delle nostre vite / la luce sublime / luce dietro le persiane “

(*)(sottolineatura : henryp)

Read More

partitura d’addio


Posted By on Dic 14, 2012

29 Maggio 1453 La Caduta di Costantinopoli – podcast di Silvia Ronchey- Rai2 –

Parlavamo dell’eclissi di luna che si verificò pare il 22 Maggio del 1453 e ne parleremo anche in seguito perché spaventò a morte i Bizantini e in parte anche i Turchi. Però occorre parlare ancora di luna e di sole. Abbiamo visto che ne parla Tursum Bey (La caduta di Costantinopoli – Feltrinelli editore) : a proposito dell’accampamento del sultano. Abbiamo visto che la luna, una falce di luna calante, non crescente, ed è strano perché questo Impero Ottomano è un impero che cresce, perché una falce di luna calante nella bandiera del nascente e trionfante Impero Ottomano..? Beh, prima di rispondere però vorrei sottolineare il fatto che luna e sole ricorrono anche nelle fonti bizantine e per esempio nel finale di un bellissimo Compianto anonimo su Costantinopoli si chiama Anaklima tis Costantinopolis composto in lingua greco-demotica, cioè popolare, ma di alto tono letterario, che secondo alcuni proviene da Cipro e secondo altri, e più probabilmente, proviene da Creta ed è forse il più bello, ma è difficile decidere qual’è il più bello tra questi molti ‘lamenti’ per la caduta di Costantinopoli. Ma questo ‘lamento’ è qualcosa di un po’ più letterario e ve lo cito perché alla fine, dopo avere narrato quanto è accaduto il 29 maggio 1453, si conclude così:

 Cielo non tollerarlo,

Terra non sopportarlo,

Sole spegni il tuo lume,

Luna non consentirlo.

Farò un piccolo discorso allegorico:

immagina che il Sole sia Costantino il Grande

e chiama quindi Luna la sua nuova città.

Non ti sembri bizzarro quanto sto dicendo,

un Grande Cosmo infatti Dio chiama l’Uomo

e lo ha posto nel Piccolo Cosmo che è il Creato.

Erano gli imperatori il Sole

e la città era Luna.

E neanche la Luna splende se viene meno il Sole

Curioso questo capovolgimento: l’uomo come macrocosmo e il creato come piccolo cosmo. Ci sono molte implicazioni ma questa del sole e della luna, dell’Imperatore come Re-Sole che fa parte di tutta la teologia della dottrina della regalità e dell’autocrazia Bizantina e che poi tornerà -grazie alla riscoperta degli studi bizantini- all’assolutismo europeo e alla monarchia di Luigi XIV che si chiamerà Re Sole proprio sulla scorta dello studio delle fonti bizantine in proposito….”

Ma lascio a chi ne abbia interesse di cercare il seguito della diffusa meravigliosa relazione della storica a proposito della caduta di Costantinopoli. Osservo attraverso la successione delle parole la poetica dei nessi che saltano le epoche e stringono le analogie e si serrano ai significati che in sostanza sono il succo del suono delle parole medesime che è linguaggio. Quanto ascolto, e copio in parte, è stimolo al pensiero che per onestà di scienziato colloco alla base di una ricerca differente, ampia, articolata fino ad una nuova coppia di parole, una partitura che separa e canta e coralmente traccia sentieri grandi per esodi e ritorni, per nascite, scivolando via come lacrime sulla guancia mentre mi allontano dal cimitero delle parole  morte dei trattati senza cuore. Partitura d’addio.

Partitura d’addio scrivo ascoltando le gesta del sole e della luna, del re/sole della città lunare di Bisanzio, e ascolto la poesia, il canto finale della disfatta e dell’invasione e dello spegnimento: Erano gli imperatori il Sole, e la città era la Luna. E neanche la Luna splende se viene meno il Sole. “Quando e se muore il sole neanche la luna più splende” mi ripeto in silenzio e diventa un pensiero sovrapposto ma non contraddittorio l’apprezzamento estetico in forma di passione dato che non avevo mai sentito niente di simile prima e questa è poesia scientifica del rimando e della riflessione. Partitura d’addio compongo con le dita sulla tastiera virtuale della tavoletta al silicio. Ascolto il racconto delle mura da difendere dall’armata del drago e dalle bocche da fuoco dell’esercito di quattrocentomila uomini di Mehmet II°. E il racconto che è storia diventa una favola e non è solo un resoconto ma è un minuetto di alternanti testimoni di inchini di giuramenti e di sorrisi che forniscono dati cifre e numeri di somme di soldati e armature e frecce: sui due fronti.

E’ una storia liquida tenuta insieme dall’acqua nel fluire, sulla terra, del fuoco del sangue e nell’innalzarsi, di fronte alla terra, delle mura azzurre di mare di una città fatta di calce e sale. Era molto piovuto a marzo. Per il fango, che si opponeva al suo avanzamento, la grande bombarda da seicento -o forse addirittura mille- metri di gittata dovette essere trasportata da centocinquanta coppie di buoi fin sotto le mura della città accerchiata. Nel pensiero si diffonde la conoscenza-immagine che in quel maggio 1453, quando scoppiò l’assedio e la trucidazione di due eserciti, a Costantinopoli fiorirono improvvisamente, e contemporaneamente, milioni di rose.

La storia tinge la natura fiorente questo è certo. La storia è il fiume di sangue che colora di rosso tutti i milioni di rose sbocciate improvvisamente per le piogge del marzo passato. La fioritura che non si interrompe però si colora accanto alla fortezza di potenza delle tinte della strage.

I medici dalle parti opposte cuciono e cauterizzano, in un grande dispendio di braccia gambe e teste fracassate ma nessuno piange: si sprecano grida forti di dolore oltre una certa soglia di intensità del taglio e del fissaggio di ossa rotte.

La grande bombarda, ma erano addirittura sette di calibro smisurato, sbriciola i mattoni il sale e l’acqua dei bastioni e chi se l’aspettava? stupiscono gli assediati, ma resistono ostinatamente ed efficacemente. Si sa che in realtà era possibile non capitolare e che gli assediati potevano vincere e che la loro sconfitta non fu mai evidente o prevedibile e accadde solo all’ultimo minuto. Quasi in maniera casuale.

29 Maggio 1453 La Caduta di Costantinopoli – podcast di Silvia Ronchey- Rai2 –

Si perché tra il gennaio e il febbraio del 1453, quando si trattò di trasportare il cannone di Urban da Adrianopoli fino alla distanza iniziale di cinque miglia da Costantinopoli, che poi come vedremo, ad aprile sarà accorciata, beh.. Ci vollero due mesi e un impiego di mezzi inaudito. Secondo uno storico bizantino (…) furono necessarie settanta coppie di buoi e duemila uomini. Secondo il nostro Leonardo di Chio, che insomma non era neanche un credulone, ci vollero addirittura centocinquanta coppie di buoi per spostare il cannone più grande. Del resto la difficoltà di trasporto non ci deve sorprendere considerando le dimensioni, il peso, il calibro della grande bombarda e le condizioni meteorologiche, le piogge. Fu, fra l’altro, un aprile piovoso, il che forse spiega quella grande fioritura di rose poi a maggio… Crudele fioritura di rose. Dunque questa enorme difficoltà, questa grandiosità, questa megalomania di Mehmet II°  sono dei tratti ricorrenti del suo carattere, ma sono forse anche il suo genio. Potrebbe essere visto, tutto questo, anche come il suo delirio di onnipotenza: però se Mehmet non avesse vinto. E non era così scontato che vincesse. Era vista proprio così, come megalomania visionaria, come hybris per dirla alla greca, la sua… Era vista così dall’ala moderata del Consiglio dei Visir, l’ala capeggiata dal vecchio Halil Pascià, l’erede del modo di pensare, di fare politica e di governare del padre di Mahmet II°. Che, non dobbiamo dimenticare, dopo un primo esperimento fallito di mettere sul trono il figlio (peraltro illegittimo) l’aveva mandato in esilio. Mehmet poi, come abbiamo visto, salì al trono strangolando l’altro bambino che nel frattempo suo padre Murad II° aveva avuto e che avrebbe dovuto essere l’erede. Insomma era un personaggio discusso questo Mehmet II° e alla corte veniva biasimato proprio per il dispendio immenso, secondo alcuni sconsiderato, di mezzi ma anche di uomini dato che per l’assedio di Costantinopoli aveva sguarnito praticamente tutte le frontiere e diciamo che … Il fatto è che la storia è fatta dai vincitori e noi non abbiamo altro che storie di Maometto II° il Conquistatore, ma se egli invece non avesse vinto… E guardate che questo era più che possibile fino alla fine e la sua vittoria fu casuale. Perché nella storia in realtà quasi tutto è casuale, solo che a-posteriori poi si fanno dei ragionamenti: da un lato appunto essa è scritta dai vincitori, dall’altro la fede, la fede in una provvidenza, la fede in un destino o anche semplicemente una fede storicista, la fede nella necessità di una direzione della storia. Ma se invece noi guardiamo la storia dei vinti e se guardiamo le direzioni, le diverse direzioni che la storia avrebbe potuto prendere – e avrebbe potuto !! – beh, allora queste certezze cominciano a decrescere e forse noi dobbiamo vedere veramente Mehmet II° … sì … come un giovane geniale, forse pieno di fantasia, ma sostanzialmente, come lo descrive Isidoro di Kiev, come un pazzo.”  

La storia è casuale: solo che poi, dopo, la si giustifica inserendola in un provvidenziale disegno secondo una menzogna -che è il filo della storia del mondo – mascherata in senso e indirizzo. Ma adesso sappiamo qual’è il dato sostanziale che attraversa e tiene la questione imponente della caduta di Costantinopoli. Il filo cioè il dato e insomma il disegno di un asse di sostenibilità e di narrabilità di tutta quella vicenda di conquista di una città – che è anche la capitolazione di una città – e che poi ha cambiato radicalmente le relazioni tra Occidente ed Islam – e dunque ha cambiato le sorti dell’occidente e del mondo intero – quell’intelaiatura di sostentamento dell’enormità dell’evento ‘storico’ non è una provvidenza o l’affermarsi dei segni evidenti di uno Spirito! È un fenomeno di coincidenza tra la fioritura di milioni di rose e la strage di centinaia di migliaia di vite il 29 di maggio del 1453, a Bisanzio.

Le rose esplodono a milioni dove fioriscono morte, e stragi, e liquefazione delle mura in sale calce e acqua. Il grande cannone -faticosamente trasportato alle mura- polverizza il corpo di Costantinopoli con i suoi proiettili e polverizza mattoni e calce e liquefà l’acqua rappresa insieme al salmastro attaccato alle pietre.

Le rose di Costantinopoli dicono che la storia, in quella magnificente misura, è tragedia e poesia e che certamente non è significato. Non si consola, con un motivo di prevalenza dei giusti, neanche una goccia di sangue. Solo le rose non si piegano allo sconforto. Gli esseri umani si. La divinità, se c’è, guarda ebete (senza capire) il dispendio di corpi fatti a pezzi. Osserva senza partecipare: restando al di qua di milioni di fiori. La vera storia risulta una narrazione confusa. Da qui appare nella sua valenza di poesia tragica: il ‘fiorire’ della morte  di centinaia di migliaia di uomini che si confonde con il ‘fiorire’ della fioritura di milioni di  rose.

Io mi dico che è più saggio cercare, per il pensiero, una fisiologia al di fuori del finalismo e della ragione. E che (perché) potevo amare nello stesso modo una donna differente da te e questo potrebbe sempre succedere senza che io lo abbia deciso. Mi dico che quando capita che un amore nuovo scaccia un amore vecchio un fiume di sangue colora la fioritura di milioni di rose. Il pensiero e tutta l’anima nostra assumono, in quelle occasioni, la gloriosa bellezza dei canti per i morti e la coralità fondativa di una partitura d’addio.

Allora possiamo comprendere il suono inquietante di una teoria nuova e di una scoperta scientifica che cambiano la fisionomia della terra.

Poiché l’arte e la storia sono del tutti casuali gli artisti e i condottieri sono pazzi assai più spesso che gli scienziati.

Read More

bordelli afasie e sordità


Posted By on Apr 20, 2012

 

Il 1818 è l’anno della completa sordità di Beethoven. Ma il maestro continuò a suonare sforzandosi di controllare l’esecuzione e gli effetti delle sue composizioni attraverso gli stimoli tattili delle vibrazioni.

Non molti anni fa Susan S. subì una grave lesione cerebrale. Risultò da prove estenuanti -alla ricerca di qualcosa di un poco più utile o meno romantico- che la sua capacità linguistica si fosse concentrata nella pronuncia della formula “Ti amo”.

Di fatto essa non seppe mai più dire altro nella sua vita fonetica. Nessuno la elesse a eroina tragica, chè poteva essere una scelta. La lesione orientò gli scienziati verso una causa naturale. Così come Beethoven, anche Susan S. ebbe la sua nascita a quella forma di sordità definitiva. Continuò a vivere come l’antenna di un radiotelescopio che cerca altri mondi abitati, con quelle parole appoggiate sull’universo, con quella formula come un orecchio poggiato sull’area del torace. “Ti amo…ti amo…ti amo…”  Una sonda e una astronave interstellare. Scienziati attenti avrebbero colto la chiara evidenza dell’indiano che ascolta anticipatamente l’arrivo del treno sui binari, il medico che ‘vede’ nella materia attraverso i suoni del respiro polmonare, il marconista che rintraccia le oscillazioni omogenee della medesima onda: “….ti amo…ti amo…ti ah!…mo”. Ma per la lesione cerebrale precedente propendevano tutti verso le ragioni causali della necessità. La scienza stabilì la verità. 

Susan S. si era messa alla terrazza, alla casa della cascata. Faceva le sue predizioni. Mandava sempre lo stesso messaggio, e misurava le variazioni della risposta ecografia. Seppe infinite cose che nessuno le chiese, poiché i miracoli, quando non è implicata alcuna allucinazione mariana, non fanno notizia poiché non suscitano pietà. In effetti è stato definitivamente accertato che alle scimmie non piace la musica. Mentre solo noi come specie siamo fuori dai limiti del principio del piacere. Abbiamo riflettuto parecchio al caso di Susan S. così come alla definitiva sordità di Beethoven e, alla fine, alla geniale generazione delle parole astratte, e all’antimateria rinserrata e protesa nel profilo semantico della parola “dislike” ed altre parole simili che contengono certe distorsioni di significato contratte come una cicatrice. Per la sapienza delle cicatrici abbiamo chiaro che la forza delle fate è inconsistente, e che i sortilegi sono nostre attribuzioni. 

L’evoluzione non è intelligente. L’intelligenza è un risultato collaterale tardivo e forse controproducente. L’intelligenza è una idea come la presunzione. L’idea che siamo finalmente arrivati a un certo (questo) stadio di sviluppo è irrealistica. Non c’è neppure una simmetria -di fatto- nella successione degli eventi evolutivi. E la convinzione ebete di un progressivo miglioramento, implicito nell’azione della impastatrice darwiniana è una proiezione (illecita) nei fatti della materia di un finalismo che è contrario a qualsiasi legge fisica. Semmai la tendenza è verso il peggio. Così Beethoven, nel 1818, cessa di sentire la musica del tutto ma continua a scriverla ‘per vibrazioni’ si dice, anche se è evidente che, dato che essa è chiara in lui, la risposta percettiva di controllo gli è poco meno che inutile. Non era dunque per verificare la propria musica che accostava tutto il suo corpo sordo alle onde acustiche di ritorno sul treno di legno del piano e del pavimento.

Siamo proprio tutti noi una specie sorda e geniale. Oramai. Le cose nella mente continuano a prodursi con esattezza. E poco importa che la verifica del senso della nostra fantastica inutilità ci raggiunga per le vibrazioni provenienti dalle assi di silenzio nell’isolamento delle aule. La nostra rappresentazione del mondo è un fantasioso universo di distorsioni, il pensiero un rimaneggiamento continuo d’amore. Ma non ci fermiamo mai. La letteratura dimostra quanto sia grande il successo del totale fallimento evolutivo implicito nella fantasia umana. Beethoven è sordo e produce spartiti con forsennata sicurezza armonica. È una grandiosa espressione, per niente simbolica, di specialità.  Siamo ville sul precipizio temporale. Cementi sulla cascata degli abissi naturali. Il danno è fatto. Come Susan S. non sappiamo dire altro che “ti amo“. Nessuno, onestamente, sa se abbiamo di più nella mente. Come specie ci presentiamo (rappresentiamo cioè noi a a noi stessi) come eletti. Ci si sogna conclusivi: collezione sterminata di emozioni di una schiera di divinità che alla fine si sono decise a delegare al monoteismo.

Dancing in the Dark. L’amore è una afasia profonda, un ampio territorio di lesione. La specie ha percosso il progetto come un’ischemia o un’invasione di cavallette. Tanto da suscitare un linguaggio pieno di fascino. Noi intoniamo cori dal purgatorio. La decisione da prendere è di fare decisamente un passo verso l’intimità. Un silenzio. Una imposizione, come quando, nei territori della reclusione, si scrivono i diari che diventano le “Lettere dal carcere”. Il pensiero geniale è la coccinella addomesticata in anni di prigionia. L’apprendimento del linguaggio dei grilli. La scienza delle immagini è la scoperta dei meccanismi di attivazione della catena associativa della colonna del pensiero. La realtà, per quanto ne sappiamo, è il mare verticale del mondo fisico e noi, con il piccolino tra le braccia, che scampiamo. E’ continuamente appena in tempo il tempo medesimo. Prendiamo il 1818: è un luogo di appuntamenti!

Un bordello per anime romantiche in cerca di sonno pavimentato di fogli musicali. Non si pensi a chissàcché, il sesso è una vibrazione sospetta alle orecchie della sordità definitiva di un genio e oggi è l’asse di legno che sostiene l’umanità intera. Lei, l’umanità, da questa parte, e ciascuno di noi, ma ognuno come una singola figura, all’altra estremità. E la vibrazione delle parole scritte è l’atto di compassione della carne. Lei l’umanità, un poco differente da noi e non riassumibile in noi, costruisce con la fronte rivolta alle cascate, al buio rotolante, con le palme in avanti come respingenti del treno e gli occhi rovesciati degli epilettici. Al cospetto dell’umanità Beethoven restò sordo per sempre. Muoveva le mani sulla tastiera per distrarre gli scienziati e i dottori dell’orecchio, i patologi e le schiere dei critici. Nello stesso modo la lesione isolò Susanna S.

Il Maestro suonava, suonava, faceva un grande frastuono dalle finestre, dai portoni, dal tetto. E piccino inerme e felice, disteso sul pavimento del bordello dell’infanzia – dove ogni bambino ha la gioia del canto e del corpo della madre per l’attimo che si è distratta dalla propria costante  anaffettività – disteso su quella estremità del lungo asse bruno di legno – alla cui estremità opposta stiamo, e stavamo già allora, tutti noi (che in quel caso siamo sempre stati l’umanità)- ascolta l’onda acustica di una vibrazione. Quello che sente, la cosa per cui si è messo a cercare dopo l’avvento della propria definitiva sordità, è la voce di una donna che è da qualche parte, nel calore irresistibile dell’architettura romantica. Una donna che la letteratura definisce per sempre sulla terrazza di una casa su una cascata innocua e travolgente. Una donna che ha una evidente ‘lesione’: “…ti amo….ti amo…ti amo…..ti amo….ti amo…”

Beethoven è disteso sul pavimento per sentire esattamente attraverso le assi di legno della sua stanza le parole della donna. Sorride disteso nel silenzio ora che la musica è ferma e il mondo si spegne come un ragazzino che dorme. 

“Sei uguale a me – le dice – hai la genialità che ti impedisce la distrazione.” 

“…ti amo….ti amo…ti amo…”

nota: Il bordello è il centro semantico dell’immagine del post: Les Demoiselles d’Avignon è uno dei più celebri dipinti di Pablo Picasso. Realizzato nel1907, di misura cm 243,9 x 233,7. È conservato al MoMa di New York. Il quadro mostra cinque  prostitute in un bordello di Calle Avignon, a Barcellona. Picasso creò oltre un centinaio di studi preparatori e schizzi in preparazione a questo lavoro, uno dei più importanti nello sviluppo iniziale del Cubismo. Quando fu esposto per la prima volta nel 1916 il quadro fu tacciato di immoralità.

Read More

un amore impossibile


Posted By on Gen 12, 2012

il linguaggio si ha per sempre appena lo si ha – nessuno certifica l’acquisizione delle parole per tutto – della condizione nuova dopo l’assenza precedente – comunque poi si riuscirà col linguaggio acquisito a sciogliere il vincolo, la corrispondenza biunivoca tra parole e fatti – ‘cavalcano pesante i signori della libertà dalle lacrime sulla mia terra’ – devo valutare i valori – attribuirli con dei cartellini – designare in modi differenti tutte le volte – arrivare in profondità, se possibile – indicare i componenti linguistici mutati – grazie alla sensibilità – devo approfondire come si fa ad aumentare la sensibilità umana durante lo sviluppo di una professione di terapia – tenere presente l’identità necessaria – far notare che, bene o male, una identità è annidata persino nei paragrafi delle costituzioni dei paesi dopo le pacificazioni.

insomma devo lavorare nello stesso modo come si tiene presente l’esattezza delle proporzioni quando si misura una casa – devo pretendere di ‘spiaccicarmi ai corpi con le mani di crema’ – raccontare che ‘ho scoperto le donne col corpo addensato dalle scadenze dei ricatti di usura mese dopo mese’ – riferire con precisione ciò che esse dicono da molto vicino – che ‘parlare non è volere ragione‘ – quando riferiscono, perché io a mia volta ne riferisca, dei ‘signori dalla cavalcata pesante‘ – ‘le cui scorribande si possono deflettere mediante l’addensamento del fuoco‘ –  devo narrare come io provi ad aggiungere  ‘col ballare quando serve‘ – e di come loro mi rispondano ‘con l’intendersi quanto è reso indispensabile‘ – per correggermi, penso .

 il mio lavoro?: pulire la tastiera – poi via – non c’è la libertà nel senso di un enorme spazio di fronte agli occhi – semmai camminamenti – l’esattezza delle proporzioni nel misurare qualsiasi cosa – non è lavoro come si è sempre inteso – neppure arte – c’é di mezzo una terapia medica santo cielo – sensibilità – non trovo altra definizione – sensibilità e differenze tra le persone – quando c’è la sensibilità non c’è la libertà – bisogna designare e indicaresegnare e indicare – niente a che fare con i disegni di figure – il linguaggio si ha tutto appena lo si ha – come la sensibilità che è implacabile in quanto è muta come un brivido – il mio lavoro è dire: ‘l’interpretazione non è una metafora‘ – dire: ‘il pensiero del sogno non è una metafora‘ – dire: ‘il non cosciente non è una metafora‘ – dire: ‘metà della nostra esistenza non è una metafora della sua parte restante‘.

il mio lavoro: dire quello che si presume non possa essere detto – dire: ‘ciò che si riteneva indicibile può essere detto‘ – aggiungere: ‘però forse se non era mai stato detto può essere che davvero non avesse la propria esistenza‘ – poi ci sono i sogni – sono una grande parte del mio lavoro – suonano i sogni ‘…cavalcavano pesante i signori della libertà dalle lacrime…’ – i sogni affermano  ‘essi cavalcano sulla vallata e la spiaggia senza scendere senza arrestarsi’ – ‘compongono trottando i signori e cavalieri‘ – ‘essi gridano di scrivere un intero libro per i suoi occhi‘ – altri sogni dicono ‘ogni ragazza spiaccica la crema sulle dita’ – ‘si profuma la pelle’ – ‘poi via’ – ‘spiaccicati’ – ‘spalmati senza un millimetro di distanza’ – ‘senza spazio per una lacrima o un esitazione’ – il mio lavoro?: interpretare – interpretare in questo caso è rispondere: ‘il linguaggio si ha una volta per sempre’ – ‘non si perde mai’.

le donne con il corpo addensato dalle scadenze mensili dei ricatti di usura fanno figli senza il certificato di nascita – li tengono comunque appiccicati a sé per i primi anni – per sicurezza di non doversi pentire in seguito – fanno nascite in paesi senza anagrafe – con i figli appiccicati spiaccicati a sé per i primi anni la sensibilità sviluppa in modo inspiegabile – e l’anagrafe si scrive sui cocci dei vasi di fiori – la madre ha le dita affusolate nel buio della terra trai semi – la sensibilità registra quello che resta – poi quello che manca e fa il tè – il mio lavoro è di far conto di quello che resta e di quello che manca – di quanto ‘non si sarebbe pensato’ – le parole che denotano e circoscrivono le assenze – il sonno alla fine di quello che si vuole finire – io riesco a restare di fronte al buco nella terra – sognando l’albero sradicato e portato lontano – poi voltarsi – sparire.

ti ho lasciato accanto al letto la foto di ieri – la fotografia della luce delle due che, mi sono detto ieri, ‘ha fatto finire tutto‘ – appena l’ho vista era già tutto finito, ieri alle due – ho pensato ‘è come l’orgasmo che viene su‘ – le parole designano la realtà delle cose – le cose, per come siamo capaci di pensarle, sono differenti dalla loro realtà materiale – esse sono percepite grazie agli stimoli che salgono per le vie afferenti dagli organi di senso – poi vengono trasformate dalla sensibilità, appena sono percepite sulla corteccia cerebrale – ti ho lasciato accanto al letto la foto della luce di ieri – l’orgasmo – il pensiero venuto alla luce – io che vedevo lo scorcio che ti ho lasciato nella foto – la natura non cosciente di quanto avveniva – la sensibilità di quello che manca – rivolto alla natura bellissima della visione – con un brivido che nasceva da dentro, dal contenuto non cosciente della mente – io ho pensato che mancavi tu.

ho segnato in terra la spirale – ho lasciato intatta la natura non cosciente del pensiero mentre era tutto finito già alle due di ieri – per lasciare intatta la natura non cosciente del pensiero di ieri ho fatto una spirale – ho fatto la scala a chiocciola disegnata dagli architetti in amore – la scala a chiocciola da scendere nell’allattare – l’orgasmo della luce alla nascita – le donne con i ragazzini spiaccicati addosso perché ‘non si sa mai’ – per non avere pentimenti – il linguaggio che si ha intero appena lo si ha – ‘dev’essere la traccia delle poppate felici ‘ – penso – quando si vince l’oscurantismo: ‘io non sono mai stato amato‘ – e si scopre che ‘non è vero‘ – l’orgasmo sale ancora una volta – le dita sulla maniglia della porta – non c’è spazio per una lacrima – affermare cose sulla vallata e la spiaggia – poi via – senza smontare da cavallo – senza arrestarsi.

la natura non cosciente del pensiero porta l’attività cosciente del linguaggio verbale ad affermare che: ‘di fronte alla percezione della bellezza della natura, gli esseri umani sani non realizzano l’esistenza di dio, ma l’esistenza dell’altro essere umano’ – ‘implicita in un sentimento (notissimo ai più) di nostalgica mancanza’.

è la realtà del sogno ricorrente di un amore ‘impossibile’.

[banner align=”aligncenter” background=”363636″ text=”BFBFBF”]

[banner network=”altervista” size=”300X250″ align=”aligncenter” background=”2B2B2B” text=”ADADAD”]

Read More

ossessione (2)


Posted By on Gen 3, 2012

al risveglio c’è il sogno da interpretare di una sconosciuta. il sogno è da interpretare solo se non è un ricordo. se è ricordo che si fa tornare alla coscienza vuol dire che non c’è stato nessun rapporto con il dormiente al risveglio. che noi ‘non siamo’ medici. il medico dice: “- l’idea di una donna sconosciuta è la creazione del pensiero. per il pensiero non cosciente la sconosciuta allude a qualcosa che ‘prima non c’era’-“.

quanto definiamo ricordo del sogno è una attività volontaria di pronunciare parole corrispondenti alle cose della mente: disegni e figura. il suono delle parole del disegno e della figura lascia intatta l’immagine. la coscienza che pronuncia i suoni delle parole non altera la vita non cosciente che è attività primaria del pensiero. la coscienza è spinta a definire esattamente gli affetti del ‘ricordo’ del sogno.

“- …baciavo una sconosciuta.-”

“- il sogno del bacio racconta l’atto di addormentarsi-“. il bacio è la capacità di immaginare l’esistenza dell’altro. genera una idea insieme ad un’altra idea differente che appare talvolta del tutto incoerente con la prima. addormentarsi e perdere il controllo cosciente sulla realtà, implica una trasformazione interna. il sogno del bacio è la certezza che rompe l’incantesimo della confusione a proposito dell’interpretazione del sogno e della cura della realtà psichica.

il bacio nella vita cosciente propone due possibilità differenti di ‘essere’ o ‘non essere’: la ribellione alla propria impotenza o il cedimento al desiderio. si dovrà attendere la certezza di aver cambiata la propria realtà interna da rabbia a desiderio, o si ‘deve’ comunque franare sulle sue labbra per lasciarsi poi sedurre? si deve essere già subito differenti da prima, o sarà quel bacio che induce poi la trasformazione?

il bacio ricordato al risveglio è la forma del racconto di essersi addormentati senza il terrore di non trovare più il mondo al risveglio. al risveglio il sogno dice che l’essere umano ha ri-creato ancora una volta le condizioni del proprio sonno. le pecore bianche allo steccatoo fanno il verso a dio. gli esseri umani sognano le giostre dei bambini per opporsi al tempo della natura che gira ossessivamente e fa la ruota del pavone esibizionista.

noi ci addormentiamo e poi ci svegliamo sognando baci e giostre e donne sconosciute. poi per questi eventi inenarrabili scriviamo che il tempo si pavoneggia in un ventaglio di periodi storici. e che noi uomini e donne restiamo alla catena delle parole. e che il mulino va avanti col lavoro della ripetizione. mentre invece -scriviamo- noi godiamo il sapere che l’evento ripetitivo della macina che gira intorno porta la farina.

ed altre cose incomprensibili: qualche volta sono stato con persone così belle da farmi vergognare della mia normalità. ne sono uscito quando trovai l’interpretazione sull’invidia come negazione e la specificazione che: la bugia è una cosa poco pericolosa ed è della coscienza, mentre la negazione è una attività inconscia pericolosa.

“- dunque-” pensai “- parlare non è per spiegare le cose ma per lasciarle vivere. altre volte per non lasciarle morire.-“

Read More