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bordelli afasie e sordità


Posted By on Apr 20, 2012

 

Il 1818 è l’anno della completa sordità di Beethoven. Ma il maestro continuò a suonare sforzandosi di controllare l’esecuzione e gli effetti delle sue composizioni attraverso gli stimoli tattili delle vibrazioni.

Non molti anni fa Susan S. subì una grave lesione cerebrale. Risultò da prove estenuanti -alla ricerca di qualcosa di un poco più utile o meno romantico- che la sua capacità linguistica si fosse concentrata nella pronuncia della formula “Ti amo”.

Di fatto essa non seppe mai più dire altro nella sua vita fonetica. Nessuno la elesse a eroina tragica, chè poteva essere una scelta. La lesione orientò gli scienziati verso una causa naturale. Così come Beethoven, anche Susan S. ebbe la sua nascita a quella forma di sordità definitiva. Continuò a vivere come l’antenna di un radiotelescopio che cerca altri mondi abitati, con quelle parole appoggiate sull’universo, con quella formula come un orecchio poggiato sull’area del torace. “Ti amo…ti amo…ti amo…”  Una sonda e una astronave interstellare. Scienziati attenti avrebbero colto la chiara evidenza dell’indiano che ascolta anticipatamente l’arrivo del treno sui binari, il medico che ‘vede’ nella materia attraverso i suoni del respiro polmonare, il marconista che rintraccia le oscillazioni omogenee della medesima onda: “….ti amo…ti amo…ti ah!…mo”. Ma per la lesione cerebrale precedente propendevano tutti verso le ragioni causali della necessità. La scienza stabilì la verità. 

Susan S. si era messa alla terrazza, alla casa della cascata. Faceva le sue predizioni. Mandava sempre lo stesso messaggio, e misurava le variazioni della risposta ecografia. Seppe infinite cose che nessuno le chiese, poiché i miracoli, quando non è implicata alcuna allucinazione mariana, non fanno notizia poiché non suscitano pietà. In effetti è stato definitivamente accertato che alle scimmie non piace la musica. Mentre solo noi come specie siamo fuori dai limiti del principio del piacere. Abbiamo riflettuto parecchio al caso di Susan S. così come alla definitiva sordità di Beethoven e, alla fine, alla geniale generazione delle parole astratte, e all’antimateria rinserrata e protesa nel profilo semantico della parola “dislike” ed altre parole simili che contengono certe distorsioni di significato contratte come una cicatrice. Per la sapienza delle cicatrici abbiamo chiaro che la forza delle fate è inconsistente, e che i sortilegi sono nostre attribuzioni. 

L’evoluzione non è intelligente. L’intelligenza è un risultato collaterale tardivo e forse controproducente. L’intelligenza è una idea come la presunzione. L’idea che siamo finalmente arrivati a un certo (questo) stadio di sviluppo è irrealistica. Non c’è neppure una simmetria -di fatto- nella successione degli eventi evolutivi. E la convinzione ebete di un progressivo miglioramento, implicito nell’azione della impastatrice darwiniana è una proiezione (illecita) nei fatti della materia di un finalismo che è contrario a qualsiasi legge fisica. Semmai la tendenza è verso il peggio. Così Beethoven, nel 1818, cessa di sentire la musica del tutto ma continua a scriverla ‘per vibrazioni’ si dice, anche se è evidente che, dato che essa è chiara in lui, la risposta percettiva di controllo gli è poco meno che inutile. Non era dunque per verificare la propria musica che accostava tutto il suo corpo sordo alle onde acustiche di ritorno sul treno di legno del piano e del pavimento.

Siamo proprio tutti noi una specie sorda e geniale. Oramai. Le cose nella mente continuano a prodursi con esattezza. E poco importa che la verifica del senso della nostra fantastica inutilità ci raggiunga per le vibrazioni provenienti dalle assi di silenzio nell’isolamento delle aule. La nostra rappresentazione del mondo è un fantasioso universo di distorsioni, il pensiero un rimaneggiamento continuo d’amore. Ma non ci fermiamo mai. La letteratura dimostra quanto sia grande il successo del totale fallimento evolutivo implicito nella fantasia umana. Beethoven è sordo e produce spartiti con forsennata sicurezza armonica. È una grandiosa espressione, per niente simbolica, di specialità.  Siamo ville sul precipizio temporale. Cementi sulla cascata degli abissi naturali. Il danno è fatto. Come Susan S. non sappiamo dire altro che “ti amo“. Nessuno, onestamente, sa se abbiamo di più nella mente. Come specie ci presentiamo (rappresentiamo cioè noi a a noi stessi) come eletti. Ci si sogna conclusivi: collezione sterminata di emozioni di una schiera di divinità che alla fine si sono decise a delegare al monoteismo.

Dancing in the Dark. L’amore è una afasia profonda, un ampio territorio di lesione. La specie ha percosso il progetto come un’ischemia o un’invasione di cavallette. Tanto da suscitare un linguaggio pieno di fascino. Noi intoniamo cori dal purgatorio. La decisione da prendere è di fare decisamente un passo verso l’intimità. Un silenzio. Una imposizione, come quando, nei territori della reclusione, si scrivono i diari che diventano le “Lettere dal carcere”. Il pensiero geniale è la coccinella addomesticata in anni di prigionia. L’apprendimento del linguaggio dei grilli. La scienza delle immagini è la scoperta dei meccanismi di attivazione della catena associativa della colonna del pensiero. La realtà, per quanto ne sappiamo, è il mare verticale del mondo fisico e noi, con il piccolino tra le braccia, che scampiamo. E’ continuamente appena in tempo il tempo medesimo. Prendiamo il 1818: è un luogo di appuntamenti!

Un bordello per anime romantiche in cerca di sonno pavimentato di fogli musicali. Non si pensi a chissàcché, il sesso è una vibrazione sospetta alle orecchie della sordità definitiva di un genio e oggi è l’asse di legno che sostiene l’umanità intera. Lei, l’umanità, da questa parte, e ciascuno di noi, ma ognuno come una singola figura, all’altra estremità. E la vibrazione delle parole scritte è l’atto di compassione della carne. Lei l’umanità, un poco differente da noi e non riassumibile in noi, costruisce con la fronte rivolta alle cascate, al buio rotolante, con le palme in avanti come respingenti del treno e gli occhi rovesciati degli epilettici. Al cospetto dell’umanità Beethoven restò sordo per sempre. Muoveva le mani sulla tastiera per distrarre gli scienziati e i dottori dell’orecchio, i patologi e le schiere dei critici. Nello stesso modo la lesione isolò Susanna S.

Il Maestro suonava, suonava, faceva un grande frastuono dalle finestre, dai portoni, dal tetto. E piccino inerme e felice, disteso sul pavimento del bordello dell’infanzia – dove ogni bambino ha la gioia del canto e del corpo della madre per l’attimo che si è distratta dalla propria costante  anaffettività – disteso su quella estremità del lungo asse bruno di legno – alla cui estremità opposta stiamo, e stavamo già allora, tutti noi (che in quel caso siamo sempre stati l’umanità)- ascolta l’onda acustica di una vibrazione. Quello che sente, la cosa per cui si è messo a cercare dopo l’avvento della propria definitiva sordità, è la voce di una donna che è da qualche parte, nel calore irresistibile dell’architettura romantica. Una donna che la letteratura definisce per sempre sulla terrazza di una casa su una cascata innocua e travolgente. Una donna che ha una evidente ‘lesione’: “…ti amo….ti amo…ti amo…..ti amo….ti amo…”

Beethoven è disteso sul pavimento per sentire esattamente attraverso le assi di legno della sua stanza le parole della donna. Sorride disteso nel silenzio ora che la musica è ferma e il mondo si spegne come un ragazzino che dorme. 

“Sei uguale a me – le dice – hai la genialità che ti impedisce la distrazione.” 

“…ti amo….ti amo…ti amo…”

nota: Il bordello è il centro semantico dell’immagine del post: Les Demoiselles d’Avignon è uno dei più celebri dipinti di Pablo Picasso. Realizzato nel1907, di misura cm 243,9 x 233,7. È conservato al MoMa di New York. Il quadro mostra cinque  prostitute in un bordello di Calle Avignon, a Barcellona. Picasso creò oltre un centinaio di studi preparatori e schizzi in preparazione a questo lavoro, uno dei più importanti nello sviluppo iniziale del Cubismo. Quando fu esposto per la prima volta nel 1916 il quadro fu tacciato di immoralità.

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It’s a Man’s Man’s World


Posted By on Mar 27, 2012

E’ il mondo di un uomo quello di chi si muove e ti si fa di fronte perché tu non debba morire di dolore.

Il discorso di ieri notte. Che la ripetizione sarebbe stata intollerabile. La riproposizione esatta senza cambiamenti sarebbe stata un incubo. Che si è ampliata nella storia del racconto la tua facoltà di perdonarmi ma solo fino ad un certo punto. Che si è accresciuta la capacità reciproca di perdonarci ma fino ad un certo punto. Che se fosse transfert sarebbe un successo  quando l’oggetto interno alterato dalla rabbia dei morsi della introiezione viene ricreato possibile.

Venne detto tutto sottovoce col corpo nell’abbraccio degli altri uomo e donna ai nostri fianchi dattorno comodamente appoggiati. C’era un silenzio come quando si scrive al tavolo. Così una forma nuova di vita va a finire che comincia al tavolino di ferro del bar che è dove appunto si scrive: dove cresce la pianta della mattinata. Scelte sistematiche quotidiane. Il bar, l’illuminazione, la formazione delle frasi. E’ una precisa intenzione. Non tutti i posti vanno bene.

Ora bisogna sfatare che questo studiare sia sistematico. È solo per amore, per rispondere, che prendiamo in braccio i libri appena comperati: noi studiamo per renderci plausibili agli occhi suoi. Ci appendiamo con corde di canapa alle ciglia sue e facciamo l’altalena avanti e indietro sfiorando il terreno nella parte bassa dell’oscillazione. Abbiamo ben presente che nessuno ha l’identità sufficiente a sostenere i sistemi di pensiero cui ha dato forma in anni e anni.

Sono epigoni e successori più o meno affezionati che tengono gonfia la vela con effusioni. Dipende da quanto amore l’anticipatore ha messo nella scommessa, da quanta certezza di essere amato -che corrisponde alla quota di incosciente passione- ha messo in gioco, e da quanto riesce a sporgersi con le braccia protese dal balcone che sostiene o frana. La vitalità alla nascita è sempre diversa. Cerchiamo il diritto all’uguaglianza perché l’uguaglianza non c’è in natura.

Noi lo sappiamo perché leggiamo e studiamo seppure senza sistematici proponimenti. Per creare disaccordi motivati e abbracci di desiderio per chi per storia ci appartiene. Sì però una e molte vite corse nella modestia contengono anche una rivendicazione perché non siamo mai stati ‘buoni’. Questa ansia di non restare ignoranti è forte fino quasi alla violenza bisogna dirlo. Anche se c’è una onestà nel proporre la testa alta, pronti a tutto, volendo vincere a chi ha maggiore capacita di immaginare.

Detto tutto questo, dell’infelicità che costringe i nomadi, e dell’odio, e dell’annullamento per cui bisogna muoversi per non offrire un bersaglio immobile alla cattiveria, qualcuno si è spostato e si è messo di fronte a me “per non lasciarmi solo” ho pensato e detto… Dopo siamo stati meglio tutti. Abbiamo capito che una teoria corretta sulle dinamiche del pensiero non è semplicemente, non è più soltanto un pensiero. E’ conoscenza sulla realtà umana.

Alla fine -(dico fine solo perché non saremmo mai più tornati là dopo ieri notte)- alla fine dunque, nel muoverci assieme per andare via ho sentito la parola “..grazie” . E stavolta ho pensato che era vero. Ora ci prepariamo a scalare la tela chiara di due pareti di vernice spago cotone e luce per fare la magia. “Cose frequentate viste e riviste” affermano le persone care scuotendo la testa. Sanno che non riusciremo neanche stavolta ad essere abbastanza bravi.

Ma la nostra modestia è apparente: è orgoglio dato che siamo sempre contrariati perché l’immagine che abbiamo di noi è migliore di noi. Il nostro ideale di essere ci sfugge sempre e dobbiamo sempre lavorare. Ci siamo convinti che la questione dell’identità -o come diavolo la si voglia chiamare- è comunque una questione di identità locale . E non esporteremo nulla: staremo a continuare questa ricerca in una specifica stanza.

In un certo spazio che deve avere una prerogativa. Deve essere tale che possiamo sempre pagarne la locazione di tasca nostra.

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Possono essere foto su scrivanie* nelle cornici tutte differenti* può essere l’istantanea della figura di uomo sulla poltrona* che sfoglia una biografia fotografica* di bellapersempre Marilyn* (ce ne sono molte biografie di lei)**  lo sguardo sulle persone* colte nell’atto di ricordare e progettare* è sempre un telescopio del tempo**  il bambino che disegna astronavi* il pioniere che lucida il piccone* che ci estrasse le pepite dal fiume**  puoi immaginare il salmone che risale la corrente* a deporre le uova alla sorgente**  puoi abitarle* le astronavi infantili* guardare* per quei loro strumenti* il futuro ulteriore**  immaginare ed essere certo*: alla sorgente il salmone si arresta* depone le uova* muore lì* e la storia si inverte**

nel pensiero il tempo ruota e si gira* poi scorre all’ingiù* verso te e me* verso di noi e più avanti**  sulla plancia* sulla nave spaziale* il tempo è spinto oltre* secondo un fattore di moltiplicazione indeterminato* differente* secondo la fantasia individuale* e questo fa la differenza tra i nostri modi di stare al mondo**

la luce notturna è la radiazione poetica del molto molto lontano delle favole* il c’era una volta di ogni favola**  è la radiazione poetica che fa il non assoluto del buio**  e il buio è l’universo che ci cade continuamente sulla testa**  e l’assoluto è come lo zero assoluto delle temperature* che non è l’assenza di temperatura** la dizione zero assoluto esprime una valutazione indecente della degradazione termica* come quando io dicessi che potrei anche non amarti più** che è una cosa che posso pensare* ma non corrisponde a niente che io conosca**

nel falso buio della radiazione di fondo* è ricordare* è come guardare col pensiero lontanissime stelle invisibili**  è come esplorare il tempo con il pensiero* ma è poesia* perché non è cronaca o storia**  è poesia perché è scienza* cioè una passione d’amore* e* precisamente* una versione dell’universo**  la scoperta è un esperienza sensoriale di un moto del pensiero**  così fu possibile la scoperta della relatività* in un esperimento immaginario* nel falso buio della mente**

come uno fosse di nuovo innamorato* vive le idee nate in quella oscurità* come stimoli derivanti dai sensi fisici**  le aree cerebrali eccitate nel sogno e nel silenzio* come fosse in atto la registrazione dei dati di un esperimento sulla radiazione cosmica* quando il pensiero di  noi è il laboratorio universitario* e tu sei il quartiere* il mondo**  e la città**

la prassi come i minuti ciechi del sesso* e la valutazione immediata dell’esperimento* negli attimi abbaglianti di poche parole* questo è tutto**  umanità* scoperta di un perpetuo moto* amore efficiente* (mai sufficiente)**  ricordo* prima* quando ero violento* che così poco chiedevi come sempre**  ed io* per quel poco* ti accusavo di essere una che si accontentava**

rispondesti* però* che la poesia è arte della concentrazione consapevole* e uno sforzo volontario**  e che è anche la coscienza eccitata che si piega amorosamente alla dittatura dell’immagine**  e che è anche il perseguimento cosciente e determinato di parlare* ma evitando la descrizione e la storia**  che è perseguire insistentemente il tempo* le scintille* nel buio illusorio della scienza**

rispondesti dunque che la poesia è la sintesi* l’abbraccio del gelo attorno ai rami eleganti del ciliegio* che li fa splendere quasi morenti**  dicesti* è lo sfondo dorato della percezione del tuo sesso* e sono le parole di smalto nero* la poesia è un linguaggio scientifico* sono composizioni aleatorie di parole* per rappresentare le condizioni* e le conclusioni* di esperimenti di pensiero* con cui si fanno le scoperte decisive**  quelle che cambiano* per sempre* le condizioni della nostra vita**

così mi sussurravi quando ero violento e stupido* e avevo considerato che le tue poche parole fossero miseria intellettuale* e questo avveniva perché non capivo**

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l’amore a memoria


Posted By on Gen 18, 2012

l’amore a memoria

Fosse per me metterei giù ogni volta le innumerevoli cose che amo. Quello che mi colpisce. Che mi arresta. Che mi impedisce di essere obiettivo. Fosse per me metterei, oggi, il volto della Venere del Botticelli. Il poeta tra i diseredati coperti di fango che piove dal cielo. La penna che si insinua verticale sulle curve delle ali di un gabbiano in totale controluce.

Glenn Gould che suona da trenta centimetri da terra il viso poco sopra la linea della tastiera del suo pianoforte a coda. La poltrona da sole davanti alla natura di un mare malato come una tomba pallido come la pietra. La ragazza sulla camminata al mare che si getta verticale contro la costa. La ragazza con il volto che guarda lontano offrendo solo i capelli neri a questa lato della fotografia.

Dipendesse da me metterei i graffiti delle zebre e dei cavalli. L’anonimato dell’universalità. Il bagno nel mare di latte del Mondo Nuovo di Crialese. Il coraggio di un sogno di assoluta pacificazione. Un unico attimo nella vita. Le mille nascite degli emigranti infagottati. Lei inappuntabile col suo cappellino demodè. Lei già Herpburn, da Tiffany ante-litteram. Lei che amerà anche per necessità la nuova terra.

Fosse per me alla fine metterei la foto del cinque di novembre del 2009 che avevo intitolato ‘IMC’ …indovina! Inconscio Mare Calmo: tanto trent’anni fa fui ‘toccato’ -un vero e proprio scemo– dalla scoperta di M. Fagioli. Eppure la formulazione inconscio mare calmo era provvisoria, necessaria, urgente: poi si sarebbe sviluppata molto col lavoro e gli affetti della ricerca.

C’erano queste possibilità di scelta. Poi sono entrato in casa. Niente faceva presagire. Niente fa mai presagire nulla, questo è. Le cose sostanziali non si presagiscono. L’amore coglie improvviso. Senza premeditazione. Niente! Neanche la scienza ha messo nessuno al riparo dalle invasioni barbariche del pensiero irrazionale  e generativo. Entrando in casa ho visto il vostro sorriso precipitare giù con la sua drammatica arrendevolezza.

Ho visto mettersi in scena -nella penombra del soggiorno- il mio dramma: la mia arrendevolezza al vostro sorriso. Le rughe della fronte che si spianano, gli occhi che si allungano, si socchiudono e tutta la felicità che scatena la vostra anima mimica che si riversa sulla vostre labbra addolcite. La linea delle labbra che si inarcava alla conquista del cielo. Ero solo in casa oggi e potevo permettermi certi lussi.

Allora la traccia di voi è incisa nella mia mente. I neuroni ‘specchio’, probabilmente, o chissà quale diavoleria. Una cosa tra l’amore e l’identificazione. L’intensità dell’affetto. Certo, l’affetto, come vuoi chiamarle ‘ste cose qua. Nel soggiorno oggi ero io che sorridevo al ricordo di voi. Il ricordo di voi: cioè, si deve dire, il mio sorriso. Quand’è così, quando il corpo vi ricorda come una poesia, io sorrido.

E’ un amore a memoria. Che mi ha cambiato. Siete così belli. E’ bello avervi addosso come una traccia, una traccia che è sapere. Intendo dire come saper nuotare e saper andare in bicicletta. Quelle cose che restano sempre. Perché ci sono amori che siamo certi di poter giurare che resteranno. Amori che non hanno bisogno di menzogne. Voi che adesso siete così vivi. Seppure appena un poco più lontani.

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