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la costruzione delle nuvole


Posted By on Apr 1, 2013

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Un aereo che sorvola le campagne. In basso (fuori dalla vista) la terra, l’erba piegata, e (nella terra) barbabietole, cipolle e patate che escludono, per un poco ancora, la nostra morte per la fame e l’inedia. L’aria, i miei primi anni, era traversata di molti divertenti, o addirittura travolgenti, imprevisti. Dovunque, la ricchezza dei poveri che eravamo, non erano che fiori in primo piano. Il fiore reciso dalla lama dell’ala è lo scheletro della guerra appena trascorsa mentre nascevo. A Pasqua, l’ultimo anno di guerra, un bombardamento recise molti bellissimi fiori. Uno ne ho conosciuto attraverso le lacrime dei fratelli anni dopo, quando sono cresciuto. Oggi, durante la fermezza del riposo, disegnavo il fiore che cade sotto il rasoio tagliente di un’ala che ha mistero e bellezza omicida. Senza che ne siamo coscienti, la necessità della sopravvivenza di evitare un dolore fa sì che il tempo si inverta, come una tasca rovesciata e sdrucita, dalla quale le durate colano via, in una emorragia invisibile, costante, e progressiva. Quando questo smette di accadere, senza che ne siamo coscienti, si guarisce, e la vita ricomincia.
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E’ un modo irragionevole di vivere questo. Mai fatto un programma e una strategia. a guardare le nuvole anche quando le nuvole erano i tuoi passi o i passi di altre, per carità, non vale la pena di avere pietà della gelosia.

Ogni tanto mi sembra che ci sia necessità di un momento di radicalità. Quando ho la sensazione di venire cancellato dalla faccia delle terra. Cancellato dall’orizzonte.

Disegno l’orizzonte dove non si vede nessuno. Magari qualcuno c’è, giù in fondo ma non riesco a disegnare l’impressione che ci sia qualcuno: o c’è o non c’è, questa è la costrizione se si vuole disegnare.

Il disegno non è un’immagine, è un artefatto dell’immagine, una rappresentazione grossolana dell’idea. L’idea è “…potrebbe esserci qualcuno sull’orizzonte…” ma nella figura l’impressione della presenza di qualcuno sarebbe qualcuno.

Il disegno afferma: qualcuno o c’è o non c’è. Non è come nella mente che si ha l’impressione che ci sia qualcuno. Nella mente resta l’idea senza figura. Diventa pensiero e ipotesi suono: ” Ho l’impressione che ci sia qualcuno..”

Quando ho l’impressione di venire cancellato dall’orizzonte aspetto. Il modo di aspettare lo si trova: leggere, passeggiare, disegnare, stare per conto proprio, realizzare l’identità. E disegnando l’idea di essere stato cancellato disegno la natura,

La natura senza la figura umana. Per dire che si può essere cancellati si disegna una costa un cielo una nuvola. Si disegna l’assenza della figura di una persona. Si disegna implicitamente la potenza dell’identità del pensiero.

Se c’era una persona ora non c’è più. Deve essere stata cancellata. La mente degli esseri umani sa passare da uno a zero. Sa fare questa trasformazione che farebbe diventare matto chi non avesse la nascita umana.

Noi sappiamo pensare di passare da una esistenza ad una assenza di esistenza. Una fetta di torta. Zero fette di torta. Zero precede il nome di una cosa e dice che non c’è neanche l’ombra di una fetta di torta.

A volte quando si viene cancellati dall’orizzonte ci facciamo piccini e striminziti come una linea sul foglio. La potenza del pensiero che sa dell’annullamento non più sempre onnipotente è una nuvola sostenuta dall’aria incolore.

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nucleare


Posted By on Giu 10, 2011

nucleare

Esistenza dell’anima e inesistenza dello spirito. Potrebbe finire qua. Non è una necessità andare oltre, continuare. Starei a passare il tempo e verificare l’esattezza di due proposizioni distanti anni luce. Potrei godermi il sole e le attese per una volta sgombre di aspettative. Nella esattezza della duplice proposizione riposerei le braccia come sui braccioli della poltrona azzurra. Avrei un amore a sostenermi che non c’è stato. Avrei quello che sognavo. Esistenza dell’anima inesistenza dello spirito: è l’ascolto delle sirene per chi può capire. Potrei restare a fotografare il mio soggetto preferito, il regno celeste che è fatto di acqua e luce, le nuvole attraversate dall’aria e dalla luce che nascondono le leggi impeccabili della fisica della rifrazione, ammassi variabili grigio-azzurri, campi incolti di trasparenze dal grigio al blu al nero che manifestano alla mente sveglia e ad ogni ora del giorno inarrestabilmente – se si ha la pazienza ribelle di cercare in ogni modo di legittimare con il linguaggio la forma da sempre del mistero  della vitalità – il disegno tridimensionale del silenzio appeso al cielo: la forma della fisiologia nascosta nella materia di quanto sta all’origine della specie umana come realtà rombante di una trasformazione dello stato fisico della materia cerebrale alla nascita: quanto poi resta per tutta la vita nella fisiologia del sonno senza sogni. Forse nel coraggio del desiderio sempre rischiosissimo come si sa.

Esistenza dell’anima inesistenza dello spirito: è l’ascolto delle sirene per chi può capire allora si deve cominciare ad aggiungere in uno sforzo assoluto che è falso e cattivo dire della forza delle certezza perché le certezze rendono fragili gli esseri umani perché la materia da cui nascono i pensieri costringe alla autoriduzione di riproporre sempre il progetto della propria consistenza come persone: per questo molti cercano il potere ed uccidono per tenerlo. Per la fragilità delle certezze e dell’erranza esiliata necessaria alla permanenza della dignità del pensiero. Ogni mattina un atto di rifrazione degli sguardi svegliati attraverso nuvole polverose di luce nelle stanze. Il canto delle sirene: “… Dai, gira il volto di qua e di là nel mondo delle certezze della luce umida del cielo e nella trasparenza ingannevole quando certezza della fisica e poesia della trasparenza costringono ad una necessità di pensare quanto ritenuto non vero e dunque non reale: una fisiologia di un pensiero inarrestabile che potrebbe al limite diventare che la realtà non si deve confondere con la verità. Che la realtà coinvolge il tempo in una relazione in cui c’è un compromettersi definitivo trai due: c’è una realtà per chi può capire la gloria dell’evidenza e poi l’attesa e poi sapere che questo non potrà mai essere ritenuto del tutto necessario come se si volesse affermare che una certa cultura è fondata sull’affermazione implicita che la realtà è facoltativa. Prima l’attenzione alle alterazioni della modalità conoscitiva. La pazienza ribelle per cercare in ogni modo di legittimare con il linguaggio la forma da sempre del mistero  della vitalità – il disegno tridimensionale del silenzio appeso al cielo. Senza dubbio l’esistenza dell’anima si fonda sulla certezza della natura di irrealtà dello spirito.

Osservavamo insieme le nuvole ( è un’immagine da non tradire )  cioè le modalità tumultuose della variabilità con le quali si mostra la chiarezza della confusione culturale che non sa distinguere nelle cose del pensiero la realtà delle azioni della vita mentale dalla verità del giudizio che vorrebbe una permanenza di idee per sempre.

In alto oggi l’acqua si ammassa nel regno celeste io guardo attraverso uno scorcio di canne perché mi sono piegato per unire terra e cielo in un campo visivo che ha l’asse obliquo dal basso in alto. La natura è senz’anima e il movimento degli esseri umani nella natura sgraziata e occasionale rimette le cose a posto e secondo questa certezza affrontiamo la realtà senza la verità allora si sa camminare e sorridere nella disumana solitudine dell’irrealtà dello spirito, e, per quanto mi riguarda, opporre a quell’isolamento nel mondo divino la solitudine della chiarezza con la quale si manifesta la confusione.

” La chiarezza con la quale siamo capaci di definire la confusione è la forma sostanziale delle scoperta scientifica…” – penso all’ombra del mondo di luce ed acqua sotto la rifrazione torrida dell’afa prima della pioggia – “… è definizione di geografie sempre più accurate, sono le vie dei canti, le evoluzioni dell’uomo nel cielo dei variabili mondi quotidiani.”  Immagino la linea verticale che non arriva mai agli dei, ai luoghi dello spirito, immagino una colonna d’aria verticale dal ventre al cielo di quando resto solo coi miei pensieri e poi immagino la certezza di una linea non infinita, il segmento orizzontale della relazione che porta le figure del pensiero cosciente attraverso i fenomeni caotici del linguaggio che diventa suono nell’aria e si raccoglie addosso all’altro quando, non più solo, realizzo la conferma della presenza della divinità, l’anima non spirituale degli affetti di amore e di odio, la realtà del contenuto degli esseri umani.

Nel cielo si stagliano le sirene, ammassi di nuvole e i campi di grano infiniti delle infinite sfumature della trasparenza, che distanzia e separa le relazioni reali tra le persone dall’ombra minacciosa del mondo platonico irreale. “L’esistenza dell’anima e la inammissibilità dello spirito..” – esclama con coralità appassionata il canto della sirena – “..si basa sul rifiuto dell’esistenza di un umanità che stia fuori dagli esseri umani.”  La sirena rannuvolata vorrebbe dire delle forme di realtà che sfiorano i contorni percettivi della cose fuori di noi prima della affermazione della verità: “… vorrei dirti della bellezza della magia di quanto aspetta sempre, della resistenza nel tempo, fino a che si chiarisce l’evidenza della confusione, fino a che la vitalità invisibile rende chiaro che il nulla è irrealtà, è verità di una irrealtà…”

Noi siamo la realtà dell’affetto di una relazione seppure non riusciamo a dirci la verità, nell’affanno passionale di incontri in cui tutto sembra troppo, a causa della nostra difficoltà di comprensione, per la natura della realtà sensoriale che sconvolge la coscienza. Ecco com’è. La relazione tra le persone è realtà da difendere. Ecco com’è. Possiamo ripeterci la parola ‘amore’ o scoprire altre parole per l’elevazione allo scoglio delle sirene, osare la costruzione della scala per arrivare alle nuvole, e sfiorarle con le dita di una creatura diafana di sensibilità inimmaginabile cresciuta nel nostro  aspettare da sempre. Per qualcuno potrebbe essere stato umiliante aver cercato da sempre: ma la realtà della faccenda è che ci fu da un certo momento in avanti un rifiuto dell’eternità e quel rifiuto ci curava le conseguenze mortali della solitudine cui la confusione costringeva tutti. Penso così.

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il possesso delle cose


Posted By on Apr 24, 2011

il possesso delle cose

Una nota difficile in un giorno limpido e tutta la pazienza al sole a levarsi l’umido del fiato dei feriti con la febbre. Metti giù lo sbarco delle chiacchiere sul cosiddetto destino delle masse, e vedrai formarsi le dune, i paesi della sete eterna, la fabbrica delle mosche, i cuori di plastica – duttile – nelle ultimissime più terribili forme di disumanizzazione dei presidenti, i bisturi velenosi, le chirurgie plastiche che nascondono per sempre il profilo delle responsabilità, le curve nere dell’emiciclo parlamentare, le suture infette di sciatteria e trascuratezza. Noi restiamo gli uni accanto agli altri, a cercare le parole alla base e prima del pensiero per dire che sono le mani a comandare giorno dopo giorno, le mani che scivolano sulle cose e dimostrano che noi siamo tutto ciò che ci manca e ci sfugge perché afferriamo di certo ma insieme non siamo mai padroni, e via via che nella morsa decisa delle palme capaci che prendono e lasciano andare tutto, il tempo si genera – creando il rapporto con la realtà inalterabile degli ‘oggetti esterni’ – noi a nostra volta, per quella consapevolezza di impossibilità di possedere qualsiasi cosa che amiamo e stringiamo a noi, diventiamo, nello stesso momento, imprendibili: come il disegno del mondo.  Da quell’istante la linea dei volti, il grattacielo cilindrico del torace, le spalle, l’arco dei piedi, il motore rombante dei polpacci e il dorso forte delle dita sono steccati, linee di costa, spazio dei confini, orti, campi, barriere, carri allegorici, ospedali, campi da coltivare, acqua intorno alle chiglie, le chiglie stesse con righe lunghe di rossi accesi, e i capelli delle sirene. E per questo modo di pensare, è evidente che noi siamo esattamente tutto ciò che non siamo, che siamo lo spazio tra noi, e il tempo intercorso tra il risveglio e la generazione delle figure del risveglio, e siamo il sogno che non è che lo sfondo – vale a dire la fisiologia – della esistenza materiale della nocciola grigia e bianca dentro di noi, noi siamo lo sfondo medesimo da cui tutti i giorni si torna a colonizzare questo mondo moderno, che il cinematografo, la musica, la letteratura, la poesia, le frasi negli cioccolatini e le cartine d’argento finto, e l’oro leggero dei bracciali, e le perle alle orecchie, e la massa densa della carta degli imballaggi delle librerie di legno bianco, e il cartoncino profumato delle lettere d’amore dei bambini alle maestre, e la scoperta del fuoco di ogni giorno per bollire l’acqua con il caffé, hanno ultimamente disegnato e messo in relazioni variabili, per tenere inalterata l’idea di vita umana, e di mondo, che non sia solo sopravvivenza e terra sferica. Il sogno è una nota difficile in un giorno limpido, dove sbarchiamo per essere quello che siamo: stendiamo tutta la pazienza al sole, per alleviare l’umido al fiato dei feriti con la febbre, e negli ospedali sulle frontiere sbarchiamo le truppe delle chiacchiere, e facciamo i cori di accompagnamento nelle corsie piene dei feriti della resistenza, e siamo i feriti e i dottori, e precisamente anche le voci nelle emergenze, che raccontano quello di cui siamo il confine. Certamente incutiamo un terrore perché, per chi ci ha ignorato da subito, siamo voci che provengono da chissà dove, siamo lettere volanti verso il cielo come aquiloni che modulano dalla picchiata ad altri variabili percorsi – già ma dov’è la mano sapiente del ragazzino? Ecco siamo i morti viventi, colorati di colori sfumati, con addosso la vita  della mobilità un poco isterica delle cose che non si riescono ancora a capire, e esattamente per quella incomprensibilità siamo bellissimi, come le storie di un esercito di bastardi nelle pagine di un romanzo che circola non autorizzato, siamo precisamente la successione di una storia senza protagonisti principali, siamo persone che hanno affetti che ci consentono possibilità infinite per disegnare i fondali di anemoni di mare, e le reti da pesca piene di pesci per l’epica delle giostre medievali, e l’invasione delle astronavi che portano ammassati i battaglioni dei perdenti immortali. Siamo gli autori della saga delle briciole di pane, e siamo piramidi che portano incise le avventurose vicende millenarie dei semi di soia che vincono, in prima istanza, la guerra contro la fame. Noi sappiamo che gli avvocati dei cinici hanno mandato contro di noi terrificanti meraviglie, hanno mandato – nascoste nelle nuvole di sudore freddo dei dittatori – le astronavi piene di batteri. E i nostri sogni dovranno organizzare le tempeste, disegnare su carta di riso i costumi da guerra, realizzare capi di sartoria per la scenografia dell’invasione dei buoni finalmente vittoriosi, per avvolgere, dalla testa ai piedi ,le nostre modeste persone con tute da cavallette. Saremo armate fruscianti, il nostro respiro tutto un mormorio di poesie rimaste sulle labbra dei morti di sete, e lì per lì nessuno si renderà conto di nulla, tanto meno, come Macbeth, della foresta che si muove piano, fatta di noi che abbiamo tra le labbra i rami delle parole di stanotte, e – sulla testa – alberi di carezze, perché la testa, da tempo, non ci serve quasi più per pensare – da quando siamo diventati navi da sbarco e branchi di delfini tormentati, che hanno finalmente acquisito la elusiva velocità dei loro persecutori, e imparato l’arte  di scomparire nel buio propria delle spie le  delazioni delle quali, fino ad oggi, ci sono costate sempre la vita e la salute. Ma stamattina, ti giuro, siamo noi l’ombra al fondo azzurro della piattaforma, siamo un orda di racconti senza un grido: allo scandaglio costruiamo l’eco falsa di una ingannevole profondità, come balene fantasma che promettono aerei ed aleatori piaceri. Poiché chi affondasse il bisturi tecnologico nelle nostre enormi masse cerebrali, vedrebbe l’ambra sfarinarsi imprendibile, il discorso storico dissolverei nelle singole parole, vedrebbe solo strade di una città piena di gente senza tracce di colpevolezza sui vestiti. Abbiamo preparato la scenografia per questo risveglio senza disperazione. Abbiamo pensato come è commovente che appena ieri ci siamo abbracciati come sempre tra gli scaffali dei magazzini pieni dei ricordi, in modo da poter, adesso, riordinare il mondo intero con le parole di un sogno.

Non abbiamo quasi più nulla di tante cose che ci eravamo procurate, non abbiamo più il possesso delle cose, questo era stanotte e questo è il fiore nel bicchiere. Buongiorno amore mio.

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