transfert e tempo vissuto

Posted By claudiobadii on Feb 4, 2014 | 5 comments


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“TRANSFERT E TEMPO VISSUTO”

Transfert e tempo vissuto. Quando siamo fuori e sembriamo gli stessi ma non è facile trovare un modo dopo tutta quella faccenda del setting. Ci sono stati decenni e si è definita una ‘civiltà’ diciamo così. La civiltà della relazione sperimentale. non si sapeva come fare, e ci siamo appartati in stanze più o meno accoglienti. Le stanze sono il controtransfert. Sono la prova evidente di una mentalità di una preparazione di una serie di istanze psicologiche del conduttore di terapie. Il leader dei due. Non si saprebbe davvero raccontare per filo e per segno. Le vicende che portano la verbalizzazione sono piene di cose non dette perché impossibili da dire. Perché non è nelle possibilità degli esseri umani trascrivere correntemente i pensieri senza una sottrazione derivata dalle velocità che il pensiero ha elevatissime e le fibre muscolari non sanno tradurre attraverso contrazioni eccessivamente lente.  La coscienza e gli atti volontari facilitano ritardi e contraddizioni e la presenza del leader nel rapporto deve affidarsi a arbitrarie esclusioni di parti intere del discorso. La leadership consiste nella assunzione della responsabilità di tagliare via i frammenti presumibilmente inutili della complessa azione riflessa. Io ti ascolto e penso…. E devo decidere cosa dire tra le infinite cose.

Decenni, cui si accenna, tanto ce ne saranno altrettanti per essere più chiari. Ma da adesso non potrà più essere di aggiungere ancora interpretazioni. Potrà essere solo di restituire il tempo perduto. Come dire….

“…. ma io sempre ti ricordo…!

Qui, sotto il mio albero ombroso, grande è il sospetto che di amore si sia sempre trattato. Abbastanza lontano dovevo arrivare, servirmi delle distanze temporali e tuonare. Abbi cura di te.

E….-“La ricerca?….. “- dici tu… Beh qualcuno si preoccuperà di aggiungere, ma la competenza acquisita a me basta per restare sotto il mio albero ombroso e raccontare a quanto mi sovrasta, le cose che non avevo mai detto perché esse erano al di fuori delle mia possibilità. Ora che disegno mi pare addirittura di essere diventato più capace di rapportarmi al passato.

5 Comments

  1. Stamattina … queste parole mi hanno fatto bene

  2. Ho capito. Ti abbraccio.

  3. Che bello quello che scrivi.
    Ho sempre avuto la difficoltà di tradurre in parole correnti i pensieri perché non facevo mai in tempo, era come il lampo e il tuono. Ed è per questo che venivano immagini ed allora era possibile raccontare. Disegnare poi, deve essere ancora un altro modo di rapportarsi.
    Forse restituire è riappropriarsi di qualcosa che pensavamo non avere o non avere più.

  4. ”grande è il sospetto che di amore si sia sempre trattato” perché nel parlare di quanto accade, della morte nera e di quanto si rischi ogni volta o nel raccontare quanto è impossibile raccontare o di come succeda il tagliare o escludere parti del discorso, si sente che sai le cose, che conosci il dolore perché lo sai riconoscere. E’ sospettabile la parola amore, arbitraria quanto la parola vitalità, perché si scelgono certe parole, senza capire bene in fondo cosa vadano realmente a toccare… tralicci, fili elettrici tesi o chissà. Io dico ”sì… so che è così anche se non capisco bene il come. So che non è sensibilità, è altro”.
    Vedi come si viene lì, come ci si arriva… da fuori? Lo vedi? E’ una forma d’amore, sospetto. La cura, cioè l’aver cura di non trascurare, di non essere approssimativi. L’assenza di paura, di fronte a chi spesso ne ha ancora.
    Il non detto sono tralicci tesi al vento. Poi c’è questo albero sotto cui avvengono le parole. Avvengono letteralmente, sono parole performative.
    Assenza, distrarsi. Annullare, pregare di riuscire davvero a farlo quando non ci si addormenta. Addormentarsi e non far più caso a quanto rimane di più bello dentro gli occhi e fa pungere il cuore.

  5. “…ogni volta che cammino e…mi sembra di averti vicino…” Ma tu vicino non ci sei. C’è solo la mia idea di te. Il mio desiderio di ciò che avrei voluto vederti essere. Di ciò che solo io ho saputo vedere oltre il nero che ti ammanta. Oltre il tuo desiderio di scomparire. Come quando ho visto che avresti voluto morire ed ho capito che non sarei mai stata più forte di questo. Il mio dolore nel capire che non sapevo riconoscere l’amore dalla fede. La mia incoscienza nel pensare di poterci arrivare da sola. Ma ciò che differenzia l’incoscienza dal coraggio è la paura. E’ quella che, dopo aver sfidato le profondità siderali e aver toccato la tua morte a mani nude, ciò che mi è rimasto. Forse quindi adesso potrò imparare ad essere davvero coraggiosa. Ad avere abbastanza coraggio per trovare un albero di sapienza ed affetti sotto cui ripararmi e poterti dire, da lontano, che il mio amore per te è e sarà sempre il mio ricordo pù bello.

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