tutta la vita in un minuto

Posted By claudiobadii on Mag 1, 2011 | 2 comments


tutta la vita in un minuto

“La pista é circa sei metri per dieci, lei è sul lato lungo, ci sono tavoli tutto intorno, e in questo momento non balla nessuno” (‘Profumo di Donna’ –tango-)

Arrivato al limite del ballo, avendomi oramai ridotta alla donna allacciata al danzatore cieco, quando oramai eravamo due amanti perduti nel tango che si lasciano guidare sulla pista dal profumo dei corpi maschile e femminile, mentre spudorati e inarrestabili  cedono l’uno all’altra, hai affermato sussurrando con prepotenza che la certezza di noi è solo suggestione, che dalla realtà materiale dei corpi tenuti allacciati dalla macchina attrattiva della musica nasce il pensiero umano, che esistiamo esclusivamente in relazione allo spazio libero dello sfondo – e alla materia delle cose animate ed inanimate semplicemente esistenti  o addirittura vive da sempre immobili o in costante movimento di fronte intorno e accanto. E’ stato dopo il sesso che hai concluso – quasi liberandoti di me come fossi una ciambella della colazione al miele non del tutto ben cotta nel forno – che siamo consistenza di relazione con tutto e che è evidente che il tutto comprende anche l’invisibile  di fronte e alle spalle e che siamo comunque sopravanzati dal sogno, dalla savana, dalla prateria, dai rami degli alberi di natale, e da molte altre differenti cose fruscianti alle nostre spalle. E’ stato mentre – ancora accucciata sul cuscino alle tue spalle mi lisciavo i capelli tra il medio e l’anulare della mano sinistra e tu sembravi osservare la luce alla finestra del primo maggio ed il ventre non si era ancora convinto che tutto era davvero accaduto tra noi – che hai recitato come una preghiera a memoria che siamo anche tutto quello che incombe come luna dietro al nostro avanzare e che ci precede come un sorriso delle muse originato dal fondo di una grotta. Mentre conto con le gambe tremanti i passi di questo ballo come una donna allacciata ad un danzatore cieco che percorre la ferrovia luccicante del suono rigoroso del tango, affermi che siamo visione non solo frontale del mondo, che non siamo soltanto previsione di un procedimento lineare del pensiero, che siamo volti contrapposti che si guardano, ma che siamo anche tutto questo rumore di fondo -fatto di scoiattoli muse poesie e frontiere superate leggero e costante appena descritto che ci accompagna- questo rumore che siamo e che costituisce un secondo cuore invisibile che noi a ben ascoltare possediamo. Ora di fronte alle tazzine del caffè, senza sapere su quale strada della città si affaccino le finestre delle stanze dove abbiamo dormito dopo la scena del tango, sappiamo di avere due cuori e per questo siamo suggestioni complesse, siamo le porte del cielo e del sole, il vortice degli uragani, le piogge battenti, le correnti calde, le lagune lontane, i fasci di luce calda dei fari, la ripresa del ritmo del sangue dei sopravvissuti alla morte, il levarsi di fronte alla spiaggia di tutto quanto abbiamo amato e saputo, che siamo tu ed io, che vuoi comandare ed io lascio che tu lo faccia, che ti amo mentre vai con il pensiero alla ricerca della origine materiale del pensiero. Adesso che l’altoparlante sofisticato suona di nuovo la musica di stanotte penso che io sono tua complice nel tango e nella ricerca, che il pensiero cosciente è che non voglio essere altro, che non so la verità sull’immagine di donna e di uomo e della loro relazione. che con i miei due cuori posso solo parlare per me e parlare per me è sapere di te. E’ rimasto il profumo di te nella stanza, provo a muovermi appena in assenza della massa del tuo corpo che riempiva lo spazio, lo spazio svuotato di te fa l’immagine del pensiero e recito come dicessi una preghiera imparata e memoria che siamo motrici elettroniche sulla ferrovia che traversa i sobborghi poveri delle città, ci muoviamo silenziosi con la potenza della macchina retorica della reciproca simpatia, che in quello che dici io finalmente posso avere la restituzione di me che muovo la macchina potente del mio desiderio, che il desiderio mi lega al tuo modo di pensare e che quel tuo modo di pensare è quello che sei. So che hai ragione a tuo modo, che la tua è una ragione indifendibile, un pensiero senza una causa che lo protegga alle spalle, so che è vero che non siamo altro che suggestioni e ti imploro restami vicino tu che disegni il mondo con il coraggio di fuggire dall’umiliante assenza del poco a costo di restare del tutto incomprensibile.

Se non avessimo sviluppato il linguaggio, non sarebbe necessario dire le cose controintuitive, illogiche e irragionevoli che contrastano la luce come l’ombra. Se non avessimo sviluppato le parole e i loro legami – nel discorso – non sarebbe possibile tracciare intenzionalmente la linea scura della scrittura e indagare e definire in formule eleganti di numeri e cifre di costanti cosmiche la fisica della luce e del buio: essere certi, in più, che tutto questo accadeva via via che il linguaggio diventava più complesso e ricco perché ci avvicinavamo, col pensiero, al mistero dell’origine del pensiero medesimo dalla realtà materiale della biologia. Il chiaro scuro delle parole scritte corrisponde alla realtà fisica delle fluttuazioni dell’energia che non diventa mai il non essere di una inesistenza anche quando realizza il non materiale della realtà astratta dell’immagine. L’immagine è la funzione appassionata del pensiero, che descrive, con pressioni variabili di inchiostro sul foglio, le azioni della materia che costruiscono il mondo così come noi alla fine lo percepiamo e lo amiamo.

La suggestione ci costringe a comprendere un pensiero che si riavvicina alla propria derivazione molecolare, e nell’essere sempre più astratto – per rendere la fisica della funzione del sogno evanescente fino all’immagine della materia senza figura – riesce ad evitare il poco di una mancanza umiliante perché non crede all’origine delle cose dal nulla.

Detto tutto questo, sarà comprensibile l’idea che, giorno dopo giorno, ‘noi’ facciamo all’amore con la ‘tragedia’ che tutto è un dialogo di persuasione e stupore. Nel retropalco di una commedia shakespeariana siamo artisti che sintetizzano nell’energia del sesso – seppure talvolta affrettato – la retorica senza peccato della seduzione che s’è operata dal principio, e che adesso si mette in scena, per restituire, al tempo, i secondi necessari alla finzione della vita in forma di racconto. Con la premessa del nostro innamorato ballare, possiamo dire liberamente che la vita non è mai stata un racconto, che lo sanno tutti, che quella del percorso dell’ascesa e caduta è una favola da gesuiti oscurati dall’odio. Non è un dio a provvedere al nome ‘labbra’ regalato alle labbra. Stamani, primo maggio, ho voglia di affermare ‘Amore Mio’ che i santi di moda sono modelli di sartoria, figure di delatori a spiare lo stropiccìo dei passi del mondo all’ incrocio tra la taverna e il casino. Rifiutiamo un ‘pensare’ che sia ‘così per fare’ e cioé in fondo per non indagare sulla rabbia sfogata nelle trine ai polsi e nelle marsine usurate di velluto rosso stinto. Nell’accoppiarsi fugace – da ombre, quali siamo, di figurine senza un posto definito nella società – denunciamo che la narrazione è un’illusione posta sopra ad una unica forma di esistenza, che è una esistenzaa che non scorre , che non scorre perché è permanenza di una realizzazione neonatale di pensiero. E’ umiliante la mancanza di fantasia, il terrore conformista a sovvertire la logica, l’impotenza di realizzare il movimento della mano che resta immobile di fronte al capezzolo tinto di azzurro, del volto che non si volge verso la supenova che si è accesa nell’angolo orientale del cielo. E’ umiliante lo sguardo inebetito dei fedeli rivolto  al balcone  mortale, all’irrealtà della santità, la totale assenza di sensibilità che accetta come normale  il processo di  beatificazione del morto.

Lontani dalle piazze vivo di nuovo la festa inavvertita accanto a tutti gli altri, e il movimento distratto dei passi senza una meta, fa riasuonare, non so quante volte, il motivo della canzone senza parole che ballammo insieme strettamente abbracciati. Mentre il pensiero torna alla propria origine materiale, la musica somiglia al disegno degli anatomici, e io vedo comporsi, nell’ordine rigoroso di una recitazione perfetta, le tue labbra che mi hanno appena sussurrato di non dire certe cose. Ti dico che sono convinto che, soprattutto adesso, siamo solo suggestioni e che è specialmente in giorni come questi che dobbiamo fare strage di beatitudini, e nventarci un paradiso di canzoni. L’intelligenza è il linguaggio che torna all’origine biologica del pensiero, fa l’astrazione grazie alla complessità cui è riuscito ad arrivare, fa la delicatezza del movimento del corpo nell’aria, come quando mi avvicino a te con capriole diverse, faccio il buffone e il saltimbanco, il bastardo e il filosofo da strapazzo, il servitore, l’asino d’oro e l’amante saffica, il gracidio assordante delle rane lascive, quando realizzo di essere un capriccio inventato dal tuo pensiero, e resto in equilibrio tra la parola ‘cultura’ e la risata ironica che quella parola suscita sempre.

Tu e dio. Tu ed io.

2 Comments

  1. Taccuino d’amore, Wislawa Szymborska

    «Gli parlo di tutto ciò che vuole:
    delle formiche morenti d’amore
    sotto la costellazione del soffione.
    Gli giuro che una rosa bianca,
    se viene spruzzata di vino, canta.»

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