altro ancora


“if you go away” o un aspetto della vita umana

Sto per addormentarmi ma tiro in lungo le riflessioni in uno stato fluttuante di coscienza e l’oscillazione di stati differenti realizza la cantilena dell’idea che il linguaggio verbale talvolta mostri evidente -con la fisica del suono- la forma di una base di pensiero originata tra vitalità e stimolo luminoso, al momento del parto, che resta costante e mai cosciente fino alla morte degli esseri umani e fa la nascita caratteristica della specie.

Tra le tue dita il rosario di racconti di pianto e grida nella sceneggiatura di una fiction del canale satellitare alle scale dei poveri a Rio fa la nostra storia in una collana in chicchi di sonno. Vado su e giù traversando la frontiera dato che la cosa più difficile da rendere in parole è la mancanza di una persona ed io appena so dire che essa comunque si avvicina al senso di costante esilio dei profughi ed è per questo che attraverso continuamente sul confine la sbarra colorata, e la rete furba ed annoiata degli sguardi dei gendarmi preposti al controllo dei bagagli nei fazzolettoni colorati degli eroi in cerca di fortuna, e vado e vengo nei due sensi oltre confine come un credente fa la spola tra il peccato e il perdono. Il cercare oltre confine ha un senso perché so che le case furono fatte per placarci più che per il riposo, per placarci dalla tentazione di fluire, di arrampicarci nelle favelas tra i fumi della colla nella bottiglia che toglie il respiro e l’attesa ai minorenni abbandonati e per alcuni il trash ha il suo preciso buongusto nella casa occupata ed è così che strisciano spellandosi la schiena lungo il muro per andare a lezione, per attrarre l’attenzione dei moribondi.

Piuttosto che restare e al posto di restare devo costruirti la figura di materiali residui e avendo voltato le spalle alle amicizie solite uso -per cucire- gli spilli rossi che indicavano le zone calde sulla carta della mia vita precedente: devo dire precedente perché neanche ascolto più la stessa musica anche li ho portato le tue pretese che io cambiassi che non fossi mai più lo stesso siccome dicevi

Cambiare è possibile anche se non è facile perché non è una azione volontaria che le persone si scelgano tra loro.”

È una variazione nella cantilena del linguaggio che avverte di una mutazione della forma di quella base di pensiero originata tra vitalità e stimolo luminoso il momento del parto che resta costante e mai cosciente fino alla morte degli esseri umani e fa la nascita caratteristica della nostra specie: le cui variazioni nel tempo fanno la vita umana.

Ora sogno di fotografare la frontiera, la guardia di dogana che fuma sotto il monumento ai fuggitivi, il monumento che troneggia -di fronte al chiosco della carne arrostita con salsa forte- scolpito assai grande nel marmo bianco e mi è nata di lì l’idea di costruire te e nei limiti delle mie possibilità io a mia volta ho congegnato il volto delicato e i tuoi fianchi appetibili e molte altre meraviglie meccaniche, e poi ho sintetizzato con il software musicale una voce rauca febbrile così adesso che non sono più solo nell’attraversare ossessivo per sperimentare la levitazione della perdita di una terra, è tutto un chiacchierare insieme, la tessitura complessa di noi come un tappeto che si fa tutto il giorno e a sera è pronto per dormirci assieme perché il pensiero deve trovare una sposa aggraziata florida come la regina del grano dipinta nella piccola icona che divide i possedimenti terrieri.

” Oohh !! le tue frasi sono lucciole sulla mano di cui ogni volta devo decidere la sorte in un tempo non troppo lungo mentre si affievoliscono nella mente ma prima che si spengano ed incendino l’universo. Infuriate .”

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mai più soli


Posted By on Set 24, 2011

mai più soli

Ho provato continuo a provare…perché non sempre se si nasce si verrà uccisi…” ricreo a memoria certe parole scritte che leggevo ascoltando la voce che non c’era e adesso devo rifarmi da solo la voce per non perdere quella immagine che era l’intelligenza di un tempo che non finisce ed è così che resto un fiero lottatore e non mi vergogno della mia arrogante pretesa…tu non stancarti mai !

(*)il filmato che ho ‘rubato’ è qui

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enigma


Posted By on Mag 24, 2011

enigma

Enigma era la macchina per crittogrfare la posizione di subdole macchine sommergibili e solo intelligenze acutissime si scontravano con sigle da ricordare per evitare stragi altrimenti indimenticabili così ADU divenne Angeli Danzano Uniti ed aeree figure tenevano salda nelle grinfie la fonetica di una serialità codificata di trasmissioni incomprensibili e le parole scritte per ricordare fonemi senza alcun significato di concetto compiuto restano ancora come figure che tengono l’immagine del gioco linguistico che fissa nelle iniziali la sigla che rimanda ad un altro segreto: le figure degli angeli sono intatte nella loro utile insignificanza tanto libere che un artista a partire da là potrebbe anche incidere un acquaforte che unisca terra e cielo per fare il volume che la notte si ripiega e si sistema accanto al cuscino il volume che ruotando tutto attorno all’asse della sua costola  fa una piccola bibbia che riunisce la materia e lo spirito, il tratto dei segni della scrittura e l’invisibile astrazione del pensiero espresso nel racconto.

Enigma non avrebbe saputo decrittare i mari elettroencefalografici che inondavano da anni le scrivanie dei dottori tra le onde cercando verità sommerse e sommergibili che agitavano la superficie e non si appiattivano più se non come segno della fine dell’essere al mondo della realtà umana che origina dall’inagurazione della vitalità alla nascita e non si fermerà mai neanche nel sonno – nel riposare incoscienti – che ripropone il trattato di fisiologia del pensiero che si basa sul raccontare che non è il nulla a muovere i tracciati e spostare istericamente o ad onde lente i pennini allineati sui rotoli di carta che dispiegandosi attorno alla costole del proprio asse stampante uniscono la realtà materiale della biologia, attraversata dalla fisica dell’energia bioelettrica, alla macchina enigmatica della mimica dei volti dei dormienti, che vivono di apparizioni e vicende mai accadute. Non è il nulla a muovere i pennini ma l’evidenza eclatante di realizzazioni di pensiero che sono irriconoscibili nei tratti neri di inchiostro e poi immediatamente limpidi nel racconto che mette in fila suoni e ricordo appena schiarita la stanza stamattina alla fine dell’esperimento di un tracciato nel sonno.

Angeli Danzano Uniti e l’ assenza di coscienza riduce a vitalità pura il pensiero nel sonno la vita mentale sottratta al lavorio della presa d’atto cosciente affidata esclusivamente al destino probabilistico di fluttuazioni energetiche che potremmo chiamare vicende biologiche del sonno cosicché si può instaurare un confronto tra biologia destino immagine colpa figura malattia tempo (di natura). E tempo (umano).

Come Angeli (che) Danzano Uniti, alla nascita forse sfuggiamo la morte, lasciando la biologia genericamente animale alle spalle per andare verso la vita che sfrutta i processi energetici, sottoposti alle leggi di massa calore direzione entropia, per creare le parole i segni le curve e l’incoscienza che conducono la biologia al pensiero umano e nel Pensiero Umano la Macchina Enigma si chiama Vitalità, condizione spaziotemporale di un comporsi dello stato fisico della materia che fonda un tempo inverso a quello della fisica decadente delle cose sempre a rischio sul ciglio degli imbuti gravitazionali o sul limitare delle trappole della logica consequenziale della ragione o liberi, se proprio si vuole estremizzare, d’essere adottati alle sparizioni e riapparizioni quantistiche col difetto comune che tuttavia le leggi della fisica non risolvono ancora i comportamenti del pensiero che torna sempre alla materia e la influenza continuamente di nuovo e se una volta non dovesse accadere, perché aria dal sen fuggita esso diventa ‘spirito’ irreale ed irraggiungibile noi diveniamo sottratti d’ogni bene e privati di pensiero eccoci tutta disperazione ed infelicità se non ancora follia.

I pensieri sono Angeli Che Danzano Uniti e la poesia è la Macchina Enigma che decifra sulla tastiera luminosa il testo oscuro della tastiera soprastante: ma non spiega, solo traduce fa un testo nuovo, non c’è pensiero cosciente del proprio scoprire l’immagine perché l’immagine è il successo della comprensione che è il mettere assieme le parole in un certo modo che è il nostro transitorio e allegro defilarsi dal centro dell’obiettivo ed è anche fondare i pilastri della foto sui margini dell’inquadratura e abbracciarti scartando lievemente dal tuo cuore. Enigma è una cena con amori numerosi e spiedi di quello che continua e menù di carni bianche ora che la disappetenza non compare più nella carta dei secondi piatti e invece ci viene elargita la misura di saper fermare il movimento, giusto in tempo. Giusto il tempo necessario a chiedersi se nascere sia scampare al destino specifico della biologia genericamente animale per andare alla vita secondo la natura di tempi non più naturali, tempi di una natura che la natura non contiene dei quali non fornisce alcun plausibile sospetto.

Ora fuori da quei tempi di coniugazione delle successioni del creato risulta di una allarmante evidenza l’ inutilità di tutto quell’osservare, interrogare, di tutto quel contemplativo illusionistico instupidirsi in decifrazioni fantastiche sulle nuvole, sul destino del nuoto di un castoro, sulla implicita necessita delle navigazioni sghembe degli orsi polari tra gli iceberg senza alcuna geografia. Ora che l’illusionista ci ha posto sulle dita il codice che rende chiaro l’inganno del finalismo delle migrazioni degli alci e della fioritura della magnolia nel giardino dei dignitari giapponesi e nella corte disadorna della casa popolare dove tutti noi ci si riunisce in poco a caso, per cene e feste dove con una trascurata svogliatezza tuttavia l’amore si sviluppa per aiutarci a sostenere anche l’autunno poiché noi tutti abbiamo ben chiaro che altrimenti non sapremmo sopravvivere alla certezza che nel panorama dello sguardo oggettivo non c’è alcuna perseveranza di bellezza nella ripetizione delle cose via via che se ne determina una fisionomia di vecchiezza.

L’istituirsi della variazione irreversibile del modo di funzionare della materia cerebrale alla nascita potrebbe fare l’origine del tempo che poi adesso che molto è accaduto nella mente può essere detto con parole – e sottratto sia al silenzio sia al segreto dell’ignoranza e dell’impotenza linguistica – ‘origine del tempo’. Ora che la metafora guerresca di battaglie sul mare e di forze sommerse e sommergibili costruite per le stragi provvidenziali o catastrofiche secondo il verso da cui si guarda il colore meraviglioso dell’oceano invernale – ora che tutto questo ci ha fornito la allegoria – allora adesso si può affermare che mai diventa spirito il pensiero umano che può essere decifrato da una macchina solo se contiene intenzioni coscienti da arruffare e ricomporre come sedare una rabbiosa rivolta di pochi disperati che rabbia e disperazione rendono prevedibili.

Vitalità è suono di una parola che non ha immagine perché è realtà di una trasformazione dello stato fisico della materia e scoperta di una realtà della condizione clinica dell’essere umano che si instaura alla nascita e le cui variabili disposizioni nel tempo cambiano gli stati della vita dei soggetti. Di fronte alla complessità di questa funzione restiamo sopraffatti da un gioco di parole, distesi come se fosse possibile solo una dimensione femminile perché agire con movimenti muscolari che alterano i rapporti spaziali esterni per dire di più o riportare quanto appena immaginato possibile ai termini di una maggiore semplicità, si sa essere violenza come è violenza la proclamazione di eroi nel mondo originario costituito secondo la regola bidimensionale del piano sul quale la linea distingue porzioni un poco differenti: cieli, brughiere, macchie scure, tutto questo contro sfondi possibili.

Sopraffatti non vinti neppure dispersi e neanche atterriti o disperati semmai senza bisogno di un senso imposto dall’esterno abbiamo tuttavia una realtà contestuale, un sottostante cielo, una tastiera che si illumina quando altri battono i tasti della tastiera opaca sovrastante e allora diventiamo Testi In Chiaro: Angeli (che) Danzano Uniti ed ogni parola resta un riparo seppure non ancora del tutto la nostra ’casa’.

Ci accostiamo a tentare una serie di termini sconosciuti alla biologia (*) : destino, immagine, colpa, figura, malattia, tempo di natura, tempo umano, nulla, vitalità, vita, rapporto, storia, scoperta, genialità, bellezza, fallimento, resistenza, opposizione, dolore.

(*) ( ed alienati nella irrealtà di una loro natura ‘spirituale’ )

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leonard cohen


Posted By on Mar 30, 2011

leonard cohen

“Dance me to your beauty with a burning violin /Dance me through the panic ‘til I’m gathered safely in/Lift me like an olive branch and be my homeward dove/Dance me to the end of love” (Conducimi fino alla tua bellezza con un violino ardente /Conducimi attraverso il panico finché potrò essere al sicuro /Alzami come un ramo d’ulivo e diventa la colomba che mi riconduce a casa /Conducimi fino alla fine dell’amore) Ho mille libri d’arte -non artistici sono solo raccolte di riproduzioni e i colori e i timbri cromatici voglio dire non saranno abbastanza curati -però se si ha un minimo di fantasia si arriva lontano quasi sulla tela sull’originale – a ricreare l’atmosfera emotiva – si arriva all’arte del pensiero che li ha composti – si arriva fino alla fine dell’amore.

“Oh let me see your beauty when the witnesses are gone /Let me feel you moving like they do in Babylon/Show me slowly what I only know the limits of/Dance me to the end of love” (Oh fammi vedere la tua bellezza quando le prove sono perdute /Fammi sentire il tuo movimento come fanno in Babilonia /Mostrami lentamente ciò di cui solo io conosco i limiti /Conducimi fino alla fine dell’amore) E’ lì al margine alla riva che chiamavamo la fine dell’amore che mi hanno condotto le cose che amo – nell’aria pulita dell’età dell’oro – alle infinite modalità per avvicinarsi ad un essere umano – ai gesti necessari e al comportamento affettivo per il quale è sempre stata necessaria una interiorità sostanziosa e l’aspettare in silenzio – a volte si può restare soli per anni ci vuole il tempo e non c’è quasi nulla per percepire il rispetto per il tempo – così leggevo e studiavo la cerimonia del the come ci volesse un filtro  per il tempo – una disciplinata  pazienza- capire come loro usano due tipi diversi di foglie – foglie giovani di piante vecchie – e foglie giovani di piante giovani – foglie giovani che prendono per mano foglie giovani di piante vecchie per accompagnarle fino alla fine della cerimonia – fino alla fine dell’amore.

“Dance me to the wedding now, dance me on and on/Dance me very tenderly and dance me very long/We’re both of us beneath our love, we’re both of us above/Dance me to the end of love.” (Conducimi alla cerimonia nuziale ora, conducimi senza fermarti /Conducimi molto teneramente e molto a lungo /Siamo entrambi inferiori al nostro amore, siamo entrambi superiori /Conducimi fino alla fine dell’amore) Giovane di giovane – giovane di vecchio così si agisce nella fabbrica del tempo e così si cammina lentamente un passo dopo l’altro come foglie di the pronte per la cerimonia – la vita quotidiana – il tempo costruito fabbricato – e lo si può fare coi gesti con l’articolazione del movimento voglio dire – e anche con le parole si potrebbe tentare togliendo l’inessenziale – ci vogliono ore e secoli quando alla fine nella cerimonia del the si da il nome al cucchiaio – non so se anche alla tazza di ceramica dalla quale alla fine tutti hanno bevuto – tutti alla fine avranno bevuto alla stessa tazza – dico tutti bevono come nella vita si beve tutti alla stessa tazzina alla stessa sottile lastra di ceramica curva le labbra appoggiate – siamo di vetro e corallo – siamo alla fine dell’amore  cristalli di Boemia e ceramiche e siamo di riso e carbone alla fine dell’amore – siamo esseri umani e forse dovremo ricominciare ad intenderci sulla fragranza e sulla delicatezza della ceramica – arrivare lungo tutte le età fino all’età dell’oro alla fine dell’amore seguire il profumo della poesia di un cantautore.

“Dance me to the children who are asking to be born/Dance me through the curtains that our kisses have outworn/Raise a tent of shelter now, though every thread is torn/Dance me to the end of love “(Conducimi ai bambini che chiedono di nascere /Conducimi attraverso i sipari che i nostri baci hanno logorato /Alza una tenda di difesa ora, anche se ogni filo è lacerato /Conducimi fino alla fine dell’amore) Erano anni e si doveva stabilire il perché e il per come che gusto c’era alla fine e alla fine è adesso – adesso è alla fine dell’amore – mentre mi chiedo come sarebbe ritrovare la leggerezza quando si riesce a dire che in fondo era anche possibile – che era possibile soprattutto l’interesse e alla fine che è adesso si potesse ammettere tra l’altro che dare il nome agli utensili con i quali ci siamo resa possibile l’esistenza – non era non sarebbe stata non è in fin dei conti una pazzia – tanto quanto non  lo è dare il nome ad un cucchiaio alla fine della cerimonia del the – che serve a capire la costruzione del tempo la fabbrica della strada principale del paese la costruzione delle macine grandi di pietra che portano addosso con facilità il peso altrimenti impossibile dei libri d’arte come fossero manuali di decifrazione dell’arte di cuocere la terra per la ceramica e lo smalto – di cuocere l’amore fino alla fine dell’amore cui non si arriva mai soli – mai soli perché sarebbe impresentabile arrivarci soli a cuocere la terra nel forno per ottenere il carbonio – sarebbe e se mai lo è stato è stato appunto del tutto ingiusto e dunque impossibile da soli cuocere nel forno anatomico le fibre eleganti dei muscolo del tuo cuore che ti lascia vivere e ridere mentre tenendomi per mano rendi giustizia alle canzoni e ai fiori che arrivano che metto nel samovar che diventano migliori appena reidratati e poi appassiscono e prima che la loro decadenza sia eccessiva io allora le tolgo con un certo pudore  come non si guarda in viso l’amore che se ne va per l’ultima volta – alla fine dell’amore.

“Dance me to your beauty with a burning violin /Dance me through the panic till I’m gathered safely in /Touch me with your naked hand or touch me with your glove/Dance me to the end of love” (Conducimi fino alla tua bellezza con un violino ardente /Conducimi attraverso il panico finché potrò essere al sicuro /Toccami con le tue mani nude o toccami con il tuo guanto /Conducimi fino alla fine dell’amore /Conducimi fino alla fine dell’amore /Conducimi fino alla fine dell’amore.) Adesso il finale transitorio la pretesa di tacere – insieme alla commozione di alcuni e al disappunto di altri che posso solo supporre – seppure per qualche altro verso per vie traverse dico potrei affermare di esserne certo – quando hanno visto che alla fine di un amore c’è soprattutto la realizzazione di una completezza di racconto – quasi come se fosse stata rispettata la creatività che ciò che si può immaginare è perché non esisteva  – che ho capito che ciò che si immagina è ciò che prima non c’era – ciò che si è capaci di immaginare è sempre stato alla fine di un amore che significa la possibilità della realizzazione della vita non indifferente – unica possibilità.

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mirra e coriandolo


Posted By on Mar 15, 2011

mirra e coriandolo

“Sono piume queste nel pensiero? Sono dita di mirra e coriandolo, comunque non tragedie.”

Non hai mai seminato esplosivo trai fiori e hai zolfo nelle mani. Nel samovar ci sono le cose che hai ascoltato, ci sono io filtrato al gelsomino. Ci sono anche la comprensione e complementi di universo,  le eclissi ripetute, il mio esame di ammissione, un giudice che finge la sufficienza. Nel teatro di comprensione siamo tracce dei nomi amati. Sul foglio linee della scrittura. Nell’astrazione della vita mentale siamo il pensiero verbale

La linea è la terra bruciata. L’immagine e’ il confine.

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viene in mente


Posted By on Mar 13, 2011

viene alla mente

Viene alla mente il mare di spiaggia e di promontorio. La ritrosia e il non sapere come si diventa un grand’uomo. Assenze e intermediazioni fanno la vita. Come il canto a squarciagola e la altrui malinconia. La prima volta del cinema.

Da dove vengono le cose che vengono alla mente coinvolgendoci interamente? Ma proprio ad aspettare e’ evidente il lavorio dei nidi di cellule interconnesse, l’epilessia della generazione delle rappresentazioni all’improvviso. Che tra noi e l’ammalarsi e irreversibilmente guarire c’è una deviazione di pochi gradi.

La massa ha misure critiche, oltre le quali gli ordini di grandezza della potenza cambiano in ‘altri’. Come una proteina che genera una gemella speculare piena di passione. Siamo il risultato costantemente variabile di una elevazione a potenza. Un polpastrello alla tempia cambia di qualche unità gli esponenti e noi improvvisamente non siamo più ‘quelli’.

Capita sempre ascoltare mentre la corriera non sbuca ancora dalla curva. La solitudine -se pare una corriera e un convoglio, o un treno comunque – e’ per la libertà. Il disordine insinuante e rigoroso del tavolo dei cartografi. Porzioni di terre e mari tenuti fermi da conchiglie. Pietre deserti mare macchie colori dizionari compassi cacciaviti microscopio la mente stessa del disegnatore l’assenza di qualsiasi incertezza per via della punta acuminata di spade e dei pennini d’oro e acciaio.

La restituzione si avvicina. La poesia  che il pensiero sia letteratura e poesia. La matematica di molti oggetti necessari, del giorno e della notte, dell’alimentazione elettrica di case e ferrovie. Ho l’idea  della linea che stabilisce il fuori di me: ho l’immagine di te e che fai il mondo. Di me che costruisco un ponte. Che trascorro tutto il tempo con le mani bianche di calce.

Da un po’ ho la coazione a chiedermi la relazione tra il movimento e il pensiero. L’azione delle mani sotto gli occhi di tutti. E me stesso incontrattabile ed irriducibile assenza di un evidenza qualsiasi. La fermezza dell’immagine nell’azione dell’iniziativa e nelle partenze. La quiete del sonno: al risveglio si contano tutti i sogni tutte le tracce del pensiero che non si era fermato neanche un secondo.

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