cinema!!!


emozioni differite


Posted By on Apr 28, 2011

emozioni differite

Nella macchina del tempo c’è un ‘prima’ che non avevamo e la sceneggiatura è falsa. Talvolta ci siamo serviti delle aspirazioni poetiche non per superbia di dire l’indicibile, semmai per denunciare. Non eri dove dicevamo che eri stata, in quel vicolo miserabile di cronache sottoproletarie. È il racconto che ti prende la vita, e bruscamente colloca la figurina luminosa a rischiarare una locanda. L’inesorabile estetica letteraria -non so com’è- pervade a macchia d’olio il candore, dal punto di caduta di uno dei protagonisti. Nel prima -che non ci sarebbe in verità ma esiste falsificato dalla macchina del tempo- c’è un luogo deputato alla decadenza, una locanda illuminata da una figurina splendente. La macchina della scrittura ha preso la vita di qualcuno, puntato il laser su un vicolo e, a macchia d’olio, ha fatto dileguare fino ai nostri piedi una pozza di sangue, il profumo penetrante delle ragazze alla camelia, l’ impronta di una scarpetta, la prova di un delitto al gusto di mandorle amare. Non importa, nella ricreazione poetica, l’insieme della verità. Diciamo, per farci intendere, che sei stata tutta intera il corpo del reato e che il pensiero che indago non bada a spese. La scena si compone di ombre folgoranti, di noi che stiamo a pensar-ci: letteralmente, a decidere quello che potremmo essere domani. Fummo punti di vista, corrieri sanguinanti, scugnizzi, corpi scuri negli affreschi delle cattedrali, resti fumanti di città e lanterne nelle mani dei servi che ondeggiano tra esitazione e desiderio. Insomma della letteratura ci siamo assunti il punto di vista di due alterne irresponsabilità. Il ‘prima’ -se c’è- è il battito della suola di messaggeri ignoti sulle pietre, e noi siamo testimoni della narrazione da un presente che falsifica tutto per costruire poesia, anche se dicono che la poesia non interessa nessuno. L’arte è un falso necessario, come si sa. La storia anche è un falso, che però veramente decade e si dilegua, a partire da un lume in una locanda che, ondeggiando per un soffio di tempesta, schiarisce un volto alle spalle dei giocatori di dadi. In questo azzardo globale, noi giochiamo il ruolo di adoratori di ricordi, che ci sono indispensabili per falsificare -accuratamente- tutto. E poter raccontare finalmente qualcosa che valga la pena. Cha valga la pena perché non è mai accaduto, perché è accaduto in un passato che non c’è. Che non c’é perché non c’è più. Perché solo ciò che non è mai accaduto si può raccontare cioè si può sperare.

E alla fine dunque, per quanto tutti dicano che non interessa a nessuno, invece io penso che la poesia è l’unico modo di mantenere il senso del tempo, di realizzare la possibilità di un ‘soggetto’ (il famigerato sogno dell’io ?): l’orologio ben funzionante con batterie all’uranio. Il tempo è più che altro persistente idea di ‘te’ attraverso la quale interpreto il mondo delle mie relazioni. Non è dunque il passato che fa il tempo nel quale io vivo. E’ il pensiero che fa il tempo. Il tempo fuori non c’é. Se non che fuori ci sei ‘tu’ che mi dai da pensare.

Nella narrazione mi attengo al bagliore delle parole.

Read More

non lasciarmi


Posted By on Apr 21, 2011

non lasciarmi

“Ciò di cui non sono sicura è se le nostre vite sono così diverse da quelle delle persone che salviamo. Siamo tutti completi. Forse nessuno di noi capisce realmente ciò che abbiamo passato o sente che abbiamo avuto abbastanza tempo.” (‘ Non Lasciarmi ‘ di Mark Romanek – basato su un racconto di Kazuko Ishiguro)

Potrei lasciare solo questo perché il resto, il prima, è una possibilità offerta per arrivare almeno a questo. Potrei lasciare questo, e potrei smetterla di dannarmi le giornate e gli anni, perché ho capito che è proprio vero che ciò che diciamo, che ci riguarda di più, che è ciò che intimamente noi siamo – e che è pochissimo, in spazi inesistenti solo pensati, in tempi brevissimi seppure perduranti – dunque so benissimo che è vero che solo chi già è stato capace di pensare in quei termini può capirlo. Noi siamo solo ciò che altri sono già stati capaci di pensare in ordine ad una condizione plausibile di esistenza: si tratta, per me, di puro materialismo e di fare i conti con l’amore e la passione e il desiderio comuni. Puro materialismo vuol dire materialismo aumentato da una medicina che scopre il legame della derivazione del pensiero dalla biologia, ma in termini romantici, cioè in modi in cui manca una specularità ed una corrispondenza biunivoca. Allora io vivo la gioia di essere riconosciuto dall’altro per via che c’è una anticipazione, e l’altro s’é venuto a trovare là quasi per me, dico sebbene sia vero che in realtà io ho scavato con le unghie, per decenni, e poi è apparso e mi è sembrato riconoscibile, riconducibile ad un modo di esistere ben noto, ma dovessi dire, viceversa, che sapevo quale strada prendere e quale campo attraversare e quale carcassa di nave osservare accuratamente per trovarmi a quell’appuntamento, non potrei farlo. Aggiungo, per un solo secondo, che io addirittura sono proprio definito da ciò che mi manca per raggiungere una comprensione di come si fa. Io sono tutto ciò che mi manca per fornire le prove di me, in quell’assenza di ragioni, assai più di quanto, di me, ci sia nella certezza di trovarmi di fronte ad un miracolo di realtà umana, che mi si è appena configurata come realizzazione completa secondo un’immagine. Non c’è una ragionevole corrispondenza tra i mezzi e i fini e l’altro, che fa il miracolo per via di esserci, sa di me ciò che mi serve, sa esattamente di me quello che non so avere, che potrebbe essere che ci sia da amare in me, come attesa inesauribile, come accostamento ad una banchina di carenaggio appositamente costruita di mare e pietra per il brigantino dell’amore appassionato. Nel materialismo romantico le assenze diventano decise carezze, e sapienti avvicinamenti spudorati. Si sa che si deve parecchio insistere col sesso, in modo non allegorico o simbolico, bensì in forma di lettere scure sui fondi di carta di riso, e di incisioni su muri di milioni di piante addossate di papiro. Si deve insistere, per strappare al pensiero l’idea che tutti hanno della sua  sospettabile natura d’essere privo di materia. Per questo ci si inventano le parole staccandone il disegno dal papiro, appunto, dal bassorilievo e dalla pergamena, oppure dalla pittura murale, dai cunei sull’argilla. Leggiamo con gesti amorosi, pensando tutto ciò che c’è da pensare, per decifrare quanto scritto, ma anche contemporaneamente pensando ‘ …sei tu i cunei fatti con la sottile paletta di osso bianco liscio sei tu il conteggio dei sacchi di grano e il racconto delle battaglie vinte e la cifra suggerita per dire i nemici fatti servi portatori di macerie e tesori -la stessa cosa in fondo….’ Penso sempre il mondo e nello stesso momento penso anche ciò che sei, e per necessità di conoscenza scrivo in me il pensiero che poi posso segnare sulla carta, sotto forma di un disegno di tratti corrispondenti a gesti di arrendevolezza. La precarietà del pensiero, tutto quanto mi si fa incontro, la tua imprevedibile meteorologia, così come l’incomprensione quasi totale che ho maturato per le cose dello spirito, mi permettono di pensare il mondo e realizzare la gioia di una vita affettiva della quale è paradigma e scenario una decisiva attività di esistenza soggettiva, che mi porta alle foglie leggere, agli aerei nei grandi capannoni, alle barche restituite con la chiglia appoggiata alla spiaggia col mare lontano anche se non si sa mai, alle inquadrature di singoli volti o di figure secondarie quando sembra che la natura sia tutto, quando la natura piena lo schermo come a dire che noi siamo niente, anche se noi proprio siamo sicuri invece che non è vero che noi siamo niente al cospetto della natura e che anzi noi siamo tutto, quasi tutto, un tutto che ha esigenza della costanza di essere sempre ridefinito da ‘te’. Te spesso ti penso per rendermi legittimo questo cercare la cosa che lega la biologia rossa di sangue al vento impetuoso e incolore, le chiglie delle navi inclinate al senso della bellezza che deriva loro dalla loro distanza dalla linea di costa, l’idea di alcuni aerei di leggero fasciame di legno di nave quando stanno allineati e pronti in enormi costruzioni di cemento chiaro. Te, spesso -sempre- ti cerco, a tua insaputa, quando penso di cercare e anche di scoprire da dove deriva tutta quella possibilità di aggiungere continuamente elementi umani alle cose che stanno là fuori – cose costruite da noi o luoghi che abbiamo scelto. So che io spesso non sono altro che uno che cerca e pensa ed ha una vita psichica a tua insaputa e all’insaputa di tutti, e so che comunque noi esistiamo sempre un poco dietro le quinte delle nostre più appassionate storie, che poeticamente vorrei dire esistiamo in una estesa infinita linea di costa e penso che la bellezza della nostra esistenza sta nel riuscire a distendere su quella linea tutti i perché cui non siamo riusciti a trovare una patria, quel nostro essere un attimo in anticipo sulle nostre domande, tutto quell’essere sempre all’insaputa gli uni degli altri, e tutto quel chiamare amore la richiesta di perdono, che rivolgiamo gli uni agli altri, per non essere stati capaci di rinunciare a quel modo di stare al mondo, che proprio quando domanda si ritrae appena, quando quel nostro domandare assume i toni della pellicola che fissa per sempre – ma innocente perché è perché per sempre si possa ripeterne l’espressione impareggiabile – il volto dolcissimo di un adolescente, che è deciso ad aspettare tutto quello che ci sarà da aspettare…..

Per adesso direi che tu sei una grammatica ufficiosa in costante rilegittimazione sintattica che impone continuamente una nuova diversa idea di tempo e mi rende trascurabili gli atteggiamenti assertivi a proposito delle regole del mondo.

Read More

scatole


Posted By on Mar 22, 2011

scatole

Il volto – dentro/è – una scatola e la scatola è la vergogna dell’ironia che neutralizza la mimica addolorata: è la fiera mestizia del Pensiero Ostinato.

Read More

quasi più mondo


Posted By on Mar 13, 2011

quasi più mondo

Non è quasi più mondo né quasi più tempo qui. Semplicemente qui è quasi il non essere. E’ un orrore qui. Un orrore politico. Un orrore estetico. Un orrore linguistico. Un orribile generica approssimazione. E tutti credono di nominare tutti questi tipi diversi di orrore con distacco.

Le rose puntute, i fragili sogni in pasta vegetale, la tua pelle -che potevo ferire- come possono essere dette, qui? Da questa indescrivibile abissale distanza ti parlo. Ma, certo, anche da una inquietante prossimità all’oggetto della mia preoccupazione.

Qui si dice l’orrore con toni casti e spudorati. In notti delicate – nelle loro manifestazioni di temperatura e colore – certe denuncie risultano contraddittorie. Si rischia di legarsi irreparabilmente all’oggetto odiato, se non si riesce a isolarne la caratteristica nella mente.

Ho scelto una canzone.

Read More

bad girl


Posted By on Mar 3, 2011

bad girl

Alla fine si è deciso. L’azione del pensiero ha determinato l’attivazione delle aree motorie. Gambe, mani. L’agente forse era un desiderio. No, era determinazione. Una immagine che cambiava. La discrepanza tra due condizioni del pensiero ha fatto la tensione per il movimento.

Stanotte si fa un poca di strada accanto, un poco di marciapiede, coi nostri monili di sabbia. Con le catenine di comunione. Mi intendo di poco, sangue mio. Di pochi colori e poco di pitture. Di pochi respiri e niente di baci. Sono il trasfusore. Potresti regalarmi a me? Puoi?

Chiedo per stabilire una differenza. Non siamo al sicuro fino a che dura l’uguaglianza, non lo siamo. Se devo bere dal tuo latte non possiamo essere uguali. Comunque, nel mio vestito migliore, andrò a veder sorgere il sole da occidente, stanotte. A mettere le cose a posto. Anche senza te.

La mancanza di te, che fa il mondo asimmetrico, e’ una garanzia di stabilita’ del desiderio. E’ notte e sorgono tempestose aurore. I fenomeni magnetici dell’aurora boreale sono creature liriche sul mare.  Ho le dita accese. Vivaldi è una torcia. Fai un flauto di me!

Volano parole. Tu fai volare parole. Io sono immobile e silenzioso. Siamo in accordo senza antagonismo. La ricerca è tra astrazione e irrealtà: sempre. E le parole volano come pugnali. Bisogna restare alle assi di legno. Folli di desiderio. A fidarsi – e non solo a fidarsi. Dì tu.

Pensiero astratto quello che vedi sullo schermo- e le mie parole scure – ed io. Uno non è che una cosa di particelle accese dalla realtà dei campi di energia. Che tiene tutte le parole insieme: mattoni. Per dirti che tu fai me -vivo- nel pensiero. Il film, nel frattempo, ci acceca tutti e due.

Attratto dalle immagini divento protagonista di una identificazione.  Mi confondo, e nel desiderare te voglio essere te. Rischiando la confusione della mia identità. Rischia anche lei, d’altra parte l’integrità del proprio corpo. E’ una seduzione la cinematografia.

Tutto quanto è necessario a non rischiare la pazzia del desiderio senza la vitalità, del pensiero senza rapporto.

Read More