Posts Tagged "mare"


nuvole e stupori


Posted By on Lug 9, 2016

Nuoti rimanendo verticale in acqua. Avanzando verso il largo con movimenti ampi e lenti delle braccia distese. Come fossero ali di un grande uccello elegante che si muove sui campi di girasoli appena tagliati da una trebbiatrice specializzata. Poiché non spicchi il volo distendendo il corpo sulla corrente marina l’acqua riflette il blu dei tuoi occhi. Non si vuol traversare l’oceano ma sperimentare la nostra natura non più acquatica né più anfibia con questo ondeggiare di cicogne indaffarate con le braccia che ondeggiano a mezza altezza nell’acqua come fossero ali che devono equilibrare il nostro corpo goffo ora che il mare gli toglie tutto il peso. Facciamo la nostra fisioterapia nella vasca del mediterraneo e osserviamo dal mare le colline come fossero i marmi bruni e verdastri della piscina di questo resort di lusso in cui gratuitamente passeremo una estate essenziale. Stiamo ricominciando a parlare di niente mentre niente facciamo e, avendo in mente che niente di più faremo del caldo che verrà, sappiamo di dover imparare  di nuovo ad amarci senza più scuse, a causa della povertà che non concederà distrazioni. È una scommessa coraggiosa restare insieme ora che non possiamo farci regali e nascondere il viso dietro trucchi costosi. Potremmo fallire e restare così con le ali aperte come uccelli inutili fermi in cielo tramortiti dallo stupore due imbarazzanti inutilità due nuvole di impalpabili piume chiare preda del vento.

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So che era per me. L’esplosione. Le parole messe insieme nella frase breve. Erano per me. Si sa quando una cosa è per noi. Non si sbaglia. Come la foto che è arrivata folgorante e inattesa. Come lo squillo del telefono con un nome che lampeggia verde sul blu acuto del display tra le dita.

Per noi era il buon pesce fritto rosolato caldo. Il pasticcino bagnato di caffè. L’occhiata sulla superficie formicolante di piccole onde. Per noi immediata la certezza di un benessere essenziale. Un sasso asciutto asciutto. Seccato -nero al sole che evapora l’acqua in piccole pozze di superficie- in pochi secondi.

Per noi è il tempo. Attraversa le case e le strade e l’aria, il tempo: va per il suo verso declinando come una curva che tende all’infinitamente lontano dove dovrebbe congiungersi alle case alle strade nel punto di fuga. Il tempo -come fosse una cosa discreta- sembra dirigere convergendo su noi.

Ma siccome non è una cosa discreta non ci toccherà mai davvero. Ci avvolge sussurrando leggi e teoremi. Ma, a conferma di quanto detto, non potendo fermarsi sulla pozza di sudore delle nostre attese, già turbina e, turbinando agitato, soffia oltre noi e alza nuvole di polvere.

Il tempo in tempesta porta soltanto una flessione modesta sulla retta del racconto. Vibra. Suona. Ma raffredda le cose e le disordina. Noi allora per contrastare il fenomeno ci serviamo delle parole in frasi brevi per tenere insieme il calore delle anime, la consapevolezza delle coscienze, i legami emotivi del discorso.

E ricordiamo. Anche le cose che devono ancora accadere. Il pesce rosolato caldo, il caffè, i pasticcini, un bicchiere lucido di liquore scuro, la pressione dei profumi della cucina della friggitoria sulla spiaggia, la dittatura ceramica delle sue insalatiere bianche e azzurre. Noi. Noi. Le foto ineccepibili di te al ristorante e dopo.

Le foto di me impacciato di qua dal tavolino, con una risata addosso imprevista. Io nelle foto infilato dal tuo sguardo curioso. “Chi…? Io…?” Sta scritto sulla mia faccia. Nemmeno sembra, nei file dell’archivio fotografico, che già tra noi si fosse trattato di anni di passione….

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matematici dolomitici


Posted By on Dic 21, 2015

I matematici sono i più grandi poeti. Senza misticismo profondi. Con chiarezza isolati. Senza rimpianti svettano sulla limitatezza. Non si arriva gridando per le strade dirette alla cima. Non c’è un campo base. Non successivi bivacchi. Si va dalla valle al cielo. Il vertice è una stella neanche l’avventura di salire fosse l’albero di natale. Sopra, una volta lassù, è solo oro in filigrana d’aria.

Vanno a cercare soluzioni molecolari sospirando lungo mulattiere: sviluppano ipotesi di ri-legittimazione. Respirano dilatando la base del torace faticosamente e sorridono mostrando labbra sanguinanti e denti da predatori.

Mordono le nuvole. Quasi assiderando, felici per l’ascensione, parlottano del ritorno e delle facce ghignanti dei valligiani. Vivono il trionfo diversamente da tutti. Stanchissimi sempre festeggiano con gioia feroce la preda di metà strada. Non sanno se riusciranno anche a tornare perché quello che viene è il precipizio. Ma solo così batte la mano sui fianchi l’armonico tremante gelo.

Hanno infanzie differenti da tutti e soltanto in atmosfere montane rarefatte i racconti primitivi echeggiano nuovamente. Sono loro necessarie smisurate dimensioni a ricordarsi leggeri e tiepidi sotto le coperte nella notte.

I matematici sono nati e cresciuti in baite. I loro corpi innocenti muscolosi e ruvidi sono incisi su sfoglie di roccia. Ballano e ridono intorno alle soluzioni di quesiti impossibili. Nessuno tranne loro ha la minima idea di quanto sia indispensabile tracciare formule risolutive.

Pensavo fossero freddi e distaccati ma ora li considero attentamente rigirandone le strategie di calcolo sul palmo della mano come da ragazzino mi capitò con una conchiglia incastonata in un insignificante frammento roccioso di fondo marino diventato dolomite.

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Tira. Tira su. Come il cuore non ci fosse come essendo un organo integro battesse in silenzio eseguendo i comandi soldatino fedele. Il cuore è il rosso sulle barricate tra maschi e femmine della passeggiata domenicale. Durante la quale il fronte è un confine variabile secondo il numero dei morti e dei feriti ogni attacco ogni battaglia sferrata per avanzare sedurre poi fuggire lasciando una traccia indelebile nel cuore del ‘malcapitato’ oggetto di confusi desideri. I suoni a quella trincea sono acqua della pioggia che infradicia le divise e entra vibrando attraverso la pelle fino alle ossa. Le parole della canzone svaniscono dentro il microfono sotto le labbra rosse della rockstar e poi si condensano in nuvole d’acqua in cielo che è la mente di Dio. Il cielo è un mare con le sue isole.

Il mio pensiero di te è il mare occidentale. Ho ancora legna da ardere in fondo al mare. Ogni legnetto è un attore esperto. Abbiamo focolari alimentati dagli attori delle compagnie dei teatri stabili di grandi città capoluoghi di provincia. Recitano testi scritti per una diversa destinazione: non teatro, comunque. Tira. Tira su. Il cuore quando è integro batte inascoltato. Come il tempo senza amore e la vita infantile e la pura volontà con zero autocoscienza. Tira su. Tira su. Solo la morte, parola che pronuncia un’evenienza possibile, aggiunge al pensiero la necessità di prendere atto della propria natura fisica. Il sogno va ripensato. Dire di interpretarlo in un certo senso univoco è una limitazione. Quanto di fisico era nelle barricate di vernice rossa attraverso il corso delle passeggiate è una traccia di memoria somatica che detta le regole e le posizioni. Inconsapevolmente. Bisogna, invece, lasciare ai sogni la loro natura di transitorietà. Nell’ortodossia psicanalitica ha fatto irruzione la riforma della fantasia. Il vago senso di fastidio dei medici indisciplinati è diventato mezzo di ‘diagnosi per contro transfert’.

“Non torneremo mai più” sale alla mente. Si va via scendendo le scale degli appartamenti della cittadella della rivoluzione caraibica. Le stanze sono afose e aromatiche, celesti azzurro e indaco. Sull’unico ripiano della cucina c’erano centrini celesti ricamati accanto ad una vecchia radio a transistor. In fondo alla scala c’erano ad attenderci chiacchiere di pioggia a spolverare la strada e inghiottire l’arsura. Il racconto del sogno è un buon pretesto per esprimere il gusto di certi progetti. La storia reale è ovviamente anche drammatica perché non si poteva prevedere che questa popolazione rivoluzionaria se viene còlta di sorpresa coi teleobiettivi si mostrasse solo trasognata più che consapevole ma sopratutto, ancor oggi, piena di incredula tristezza. Solo la notte la vitalità dei balli nelle strade scaccia il sonno. Sembra amore a vedere da fuori. Ma non si sa cosa passi davvero nelle loro menti. In fondo noi occidentali, anche nella riproposizione dei miti, non siamo da secoli altro che turisti occasionali.

Nel sogno venuto le notti che eravamo sull’isola era rimasto il canto dei pescatori. Tira! Tira su! Invocazione di schiume e pinne di enormi pesci all’acqua. Piegati oltre il bordo della barca ci si affanna di curiosità con il naso e le labbra a lambire il seno dell’acqua fonda. Pescando pesci spropositati più lunghi di noi si scende nel significato buio del mare quando quella parola resa unica dal lavoro coi pesci sotto il sole a picco esplode sintetica nelle onde.

L’acqua su per l’avambraccio vibra nelle ossa. Il caldo fa il pensiero come un muro sulla cui scorza di calce si disegna uno scheletro e un torace di fosforo e catrame. Voci e scrosci e fischi di corde che risalgono dal fondo si ammassano sulle pietre degli emisferi cerebrali. Noi qua abitiamo nell’incertezza delle rotte verso i campi di pesca. La riduzione dell’esattezza delle misura è in proporzione inversa alla densità del colore dell’acqua. La chiglia disegna angoli continuamente variabili. Si riesce a pensare nel mare infinito alla realtà della natura fisica del pensiero che rende dolci di incertezza i confini della sua estensione.

Questa speciale ‘natura’ fisica della realtà mentale -priva tuttavia di automatismi ‘meccanici’- risulta evidente durante i momenti del voler dormire e del risveglio.

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