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in caso d’amore e di sabbia


Posted By on Giu 20, 2014

 (marina scrive)

“Solitudine, inizio, unicità, nascita. Parole incastonate come gemme preziose nella corona d’oro del “quando ti ho incontrato” e “quando ti ho lasciato”. E’ così che si costruiscono gli orizzonti? Perché allora potrei comprendere il grido degli uccelli marini che scompaiono nel cielo che si prende tutto e del tempo intrappolato nel legno di olivo che per liberarsi doveva ardere.”

Costruzione degli orizzonti tra un iniziare e un finire d’amarti. Mi ha regalato una sensazione potente della lieve convessità di qualsiasi panorama si guardi. Resta nella mente, insieme al grido degli uccelli marini. Esso, insieme ad altri fenomeni ‘naturali’, colpisce il timpano. Nel ricordo è come nel momento in cui è ripetutamente accaduto. Mi sembra che voglia avvertirci di qualcosa. Altre volte, semplicemente, ha creato nella mente una sensazione di fusione con la natura. La fusione con la natura è sempre rimasto un sentimento e non è diventata mai fantasticheria delirante di un pensiero malato. Credo sia stato per le tracce cenestesiche propiocettive che danno origine ad idee più intime e impareggiabili di benessere. A idee senza parole. Un po’ diversamente di come accade per gli stimoli sensoriali degli altri sensi ‘esposti’. Le sensazioni ‘pure’, più della coscienza di sé, in certi casi d’amore e di sabbia, tengono integrità e unicità (cioè solitudine, inizio, unicità, nascita) della vita mentale di chi traversi la spiaggia nel buio che si porta via tutto ancora ogni volta.

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“NASCITA PER SPARIZIONE”
copyright: claudiobadii

Ci sono tipi da volere e tipi da esser voluti. Quelli che vogliono e desiderano e gli altri sui quali, per dir così, si allungano le mani. In contrasto con questa riflessione, o in apparente contrasto, sei scivolata oltre un ingresso, in una parte dell’abitazione che conteneva tutto un altro mondo. Cioè il mondo in cui ‘tutto’ non era tutto ma, semplicemente, il resto di una sottrazione, quello che di qua non si ‘sa’ e dunque ‘non esiste’. In quel passaggio -che è stato uno scivolare o un nascere, ma nascere scomparendo e non venendo alla vista, comunque un divincolarsi come nella lussazione del pollice per togliere una manetta che ti teneva prigioniera- nella perfetta transitorietà di quella tua uscita di scena, ho avuto la certezza che tutto sarebbe stato possibile. Così ad ogni parola sorriso o ammiccamento cambiano le proporzioni tra promesse e divieti. La vita è un continuo accettare o rifiutare ed essere presi o lasciati andare, a seconda che si sia di un ‘tipo’ o dell’altro. Senza avere alcuna scelta veniamo prima vissuti da noi stessi e poi, di conseguenza e in accordo, dagli altri. Siamo posseduti, ma anche posseduti dall’obbligo di possedere. Mentre scivolavi oltre la parete che divide la tua casa, scomparendo dietro la quinta di un teatro privato, io realizzavo la libertà della fantasia. Il tuo corpo, che si muoveva tra due spazi senza opporre resistenza all’invasione di quei mondi opposti, era letteralmente irresistibile. Ho immaginato un giorno incerto. Una luce di transizione. Il movimento di un giorno in cui, scomparendo come adesso dietro il muro, avresti ripreso la tua strada, aveva nella mia mente, la bellezza evidente di un agire che non si decide. Credo che il fenomeno sia più generale. Che ci sia ‘sempre’, nella realtà dell’agire umano, l’espressione di un pensiero di cui non siamo consapevoli. È una negazione la parte preponderante delle nostre affermazioni, se esse sono espresse senza bellezza.

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PUBERTA’
©claudiobadii

Per quanto faccia uno non arriva alla quiete di pensarsi non più discutibile. E se non si è definitivamente indiscutibili la felicità non ci appartiene eternamente e non è una ‘condizione’ e invece è solo un evento critico. Le mani della ragazza affondavano nella matassa di zucchero filato cioè nelle fibre temporali composte di gioia e di durate la prima volta che fummo tutti insieme al parco della capitale delle navi. C’erano migliaia di navi bianche insonni. Là ho assistito commosso alla benedizione del padre e della madre che il figlio compie con il rito delle mani affondate nel mare di lacrime dei loro capelli. Da quella volta posso capire il fenomeno della partenza di chi è un genio e trascura un po’ tutti senza determinare i danni tipici dell’assenza. Leggo solo oggi i capolavori che dovevano formarmi giovane verso la mia imprevista maturità. Dico la verità, lo faccio sorridendo e con una certa sufficienza, con un soffio di malcontento: e non mi pento del ritardo dato che non vedo come avrei potuto capirli allora, cioè nel tempo nel quale i romanzi di formazione si dice debbano essere letti, dato che, in sostanza, gli autori di quelle opere letterarie e filosofiche sono stati essi stessi superati dalle loro intuizioni. Almeno questo mi pare di poter affermare, secondo l’imponente impianto critico cui sono stati dati poi dopo in affidamento. Del resto il massimo che ho capito, l’origine materiale della vita mentale, lo devo soprattutto a qualcosa che ‘ho avuto’ in natura. Mai concordato con l’idea di una trascendenza e senza fatica penso che è facile cedere alla ipotesi trascendente della vita perché altrimenti la vita si rivela tutta indispensabile a comprendere non la vita stessa ma solo ciò che ad essa è collaterale. Oltre questi ragionevoli mediocri e comprensibili confini della mia limitatezza intellettuale sta un’opera geniale che esercita una azione di sortita e di invasione quando viene eseguita alla lettura e alla fine recepita. Con quelli coi quali divido la mia parte di tempo non se ne cava di più che un brivido sapiente quando un bacio diventa domenica. Dopo i baci ricomincia -come un lavoro che s’è trovato- un aggirarsi inquieto attorno a tutt’altro di quel che si prevedeva. Dunque solo ora leggo quanto ‘doveva’ essere per la mia formazione e non è stato così che la formazione si è espletata per altre vie, è andata da questa parte mi ha spinto qua. Ora mi ‘concedo’ -neanche fossi un’educanda male educata- alla pedagogia letteraria perché, comunque, una formazione che si è esercitata e compiuta, mi permette di farlo. Vinco la superbia proprio adesso che essa avrebbe ragioni per non essere valutata in sé la superbia che dico. Non riesco a vincere però la coerenza d’essere infelice di fronte alla anaffettività del qualunquismo e della stupidità. Vivo e ribadisco le ragioni delle scelte impulsive che hanno assunto il carattere di eventi di una formazione di autodidatta. Poi mi dico che la Teoria della Nascita Umana(*) inonda di foglie d’erba la luminosità. Disegno gocce di pioggia. Una pioggia di traverso. Parlo per figure seppure le figure non corrispondano all’immaginazione. Non ci sarà la dialettica verbale ma solo un corridoio d’artista con capolavori contrapposti. Quadri. Sculture. Un corpo a corpo di lotta greco/romana e sudore, fiumi di sudore. Imploravo una comprensione. Imploravo una comprensione. Adesso è solo superbia. Una mesta superbia. E l’amore è nella mestizia. Una buccia di limone sul piatto di ceramica bianca. Mi dicono non capisco quello che scrivi. Io rispondo che tuttavia io veramente scrivo. Che forse non è scrittura l’altra cui si accenna parlando di libri e romanzi e saggi. Quella è al massimo -che è poco- descrizione dei pensieri. Ma immaginiamo che il pensiero diventi segno scritto e in quel caso forse quel segno non corrisponde più ad una figura. È l’idea che è entrata in gioco all’alba e ancora è in atto contro qualsiasi interpretazione conclusiva. Ad essere così non si finisce più di affermare l’incerta meraviglia che risiede nella formazione dei suoni in conseguenza e in relazione agli affetti suscitati dalle domande.

note: (*)M.Fagioli “Istinto di Morte e Conoscenza”

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chi donna non è nato


Posted By on Ott 3, 2013

Essere mendicante attorno al brulicare delle innovazioni urbane. Dentro la bollitura tecnologica incalzante riposare la mente toccando con la punta delle dita la fronte alta delle divinità domestiche. Ho scelto subito che conviene. Mi conviene. Ogni momento arriva come un ospite atteso che è adatto alla mia età. Non devo faticare attorno alle definizioni a memoria. E la perdita, della stessa memoria, mi porta il vantaggio dell’amore al riparo delle ombrose tende. Il bazar delle marmellate si protende avanti. Il nesso era stato che il balcone è il seno materno. Una volta ‘mortale’ adesso non più solo mortale perché non più sempre solo materno. Erotismo.

Ma posso permettermi l’azzardo dato che sono certo che non è maschile la fantasia di una realtà esterna in continuo amplesso sessuale. Metafore di tal genere so che tengono vivo specialmente il pensiero femminile. Pensiero che è ‘modalità di pensiero’ e si rallegra di sé assai più del gioco di guerra e di conquista del riflesso sull’acqua del volto di chi donna non sia nato e che a quel volto irriconosciuto anela. Da qui l’astio che distingue i compagni delle signore e ragazze. Compagni al loro braccio che siamo transitoriamente e vicendevolmente prima o poi tutti. Possiamo affermare che un essere umano astioso diventa comunque maschile.

La spinta all’erotismo è umana. Poi, per ragioni complesse ma non insondabili, la rabbia dell’incomprensione che distrugge i disegni del progetto politico primordiale fa il maschio. Resta ad ogni distruzione rabbiosa una preponderanza della differenza esclusa. Tale differenza viene messa alla porta da quanti sono privati di possibilità di comprendere di più. Femminile viene definita ogni raffigurazione colpita dall’ostracismo. Tuttavia di rimando si generano nuove figure di femminilità ogni volta che nella mente degli esseri umani esclusi non si rompe l’ideale dell’altro attraente.

Seppure delicato, per quanto lieve sia il pensiero umano, alcuni hanno accesso al magazzino delle invenzioni d’amore fisico, ed altri non hanno tale accesso. La preferenza aprioristica di un genere rispetto all’altro è equivoca. Tale equivoco non è erotismo. Anche se troppo spesso quanto sa di materia osservata viene scambiato con le avventure dei tappeti volanti cioè gli aerei amori cui l’eros conduce. Vicinanze mancate perseguitano la distinzione tra i generi. Per adesso si dice sia gentile esser donne e scomodo e inattuale restare il resto dell’umanità. Io sono parte di quel resto. Per questo so che una realtà esterna in continuo amplesso sessuale tiene vivo specialmente il pensiero femminile.

Sviluppo la qualità di una certa disattenzione rispetto a quanto dovrebbe disperarmi: che non sapremo mai, noialtri, di noi medesimi questo amore per quello che non siamo. Scrivo, da donna, come conoscessi il ventre anatomico e la poesia della struttura dei tessuti profondi: “La nostra scienza è questa ignoranza delle sottili vene di calore e luce delle quali siamo incapaci di articolare figure migliori che quelle dei manuali. Disegnando fissiamo il noto. Le donne velate ridono. Le donne sanno velarsi per cose differenti dagli agguati.” Comunque conosco il dato che la letteratura è un agguato e una mendicazione. La mendicazione come per esempio la si legge da Elias Canetti ne “Le voci di Marrakesh”. La mendicazione unica di cui valga parlare, la doppia mendicazione di miseria e cecità.

Da donna scrivo come avessi un ventre femminile: “Capire avviene dentro un sentimento insinuante di spossatezza e precisamente dentro il sentimento dei sensi mossi durante la caduta del corpo in angoli di accoglienza. Noi siamo finalmente a casa tra i ciechi. Finalmente noi ragazze sappiamo esprimere come, evocando i sentimenti di riflessione nei muscoli decontratti dalla soddisfazione dell’inappagabile altrimenti, si riesce a centrare il mondo sul forellino dove il compasso si è appoggiato per inscrivere nella circonferenza numerose istanze -che chiamiamo ‘figli’ e ‘futuro’- senza distinguere i corpi che nasceranno dalle frasi in gioco già oggi.” E poi ho la chiarezza a proposito dell’agguato dei mendicanti ciechi.

Essi che mi liberano di me donandomi una invisibilità che non è mai non essere. E’ una folla di indovini mitici. Tiresia moltiplicati in grani di polvere. Non protesterò. Perché ho evitato la sorte di una degradazione termica. Il ritorno della comprensione dell’amore ad un equivoco ottocentesco. Colgo l’erotismo del blu notte nella visione solidale tra esclusi come sono ciechi di Marrakesh. Appena qualcuno, chiedendo, ci ferma è ogni volta ‘per sempre’. Divento femminile e penso “Chi ama di più è il cieco. Quello ammanta il proprio oggetto di ricchezza.

Avevo occhiate di adorante desiderio. Dai due lati non si sapeva alcuna misura. Gli inviti originati dalla sproporzione funzionavano come il sorgere e il tramontare del sole. “Quando torni. Quando ci vediamo. Vieni. Aspettami“. Tendo la mano oltre il foglio. Non ha niente da offrire chi scrive. Ci riduciamo da far pietà. La stima e l’ammirazione dei lettori incarnano ogni volta la distanza di gesti di corrispondenza. Ma restiamo lontani. Chi teme la eccessiva letterarietà di queste affermazioni chiama esagerazione ciò che non è altro che soglia sull’erotismo femminile. Una promessa. Il mendicante  cieco assicura e promette di restare povero come è.

Possiamo anche non dare nulla. Non misureremo in una sua ulteriore disgrazia la nostra misera avidità. Capisco una donna che non può misurare l’entità di quello che propone nel sesso se non con l’aumentare della propria miseria. Quella miseria è precisamente, se chiedete a loro, femminilità e sensualità che restano incomprensibili dal momento che aumentano con il darsi. Avvicino chi è simile nella quotidianità di lasciarsi sempre convincere. Ma il sempre non riguarda conclusioni qualsiasi né generiche convinzioni.

Ogni momento arriva come un ospite atteso che è adatto alla mia età. La perdita della memoria mi porta il vantaggio dell’amore cioè precisamente avanzare protendendo i tentacoli sensoriali della mia cecità per raggiungerti e sfiorare e tenere a lungo il silenzio e la temperatura del desiderio al riparo delle tende ombrose. “Ti amo. Mi manchi. Ho bisogno di te.” Più che altro imploriamo. Non è un luogo della mente cui si arriva ‘paradossalmente’. Implorare non è un estremo. La scelta del termine trasforma la realtà mentale di chi ascolta. Il soggetto della nascita grida e implora l’oggetto che possa confermare una cecità transitoria. Il soggetto non teme di chiedere una presenza. Esso non ha dubbi. E’ un amante ideale.

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