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Se arrivassimo ad un sufficiente livello di certezza che il non cosciente non è altro che ‘il discorso sul non cosciente‘ ci potremmo permettere di ricominciare la ricerca con grande leggerezza.

Il bell’esemplare al limite della radura svetta nel mirino del cacciatore. Io precipito con sgraziata lentezza agli anni delle denunce della guerra del Vietnam: il cacciatore nella foresta nord americana prende la mira mentre il suo commilitone -restato dentro le macerie della guerra- gioca con una pistola alla tempia offrendo la propria vita all’afa di Saigon. Quel qualcuno è un alter ego, un altro noi. Uno che potremmo essere noi. Defilato, reso irriconoscibile, alterato, mascherato, posto in bilico come noi non pensiamo di essere. E noi guardiamo il film. Noi raccontiamo il sogno. Poi l’interprete e il critico interpretano il film e spiegano il sogno approfondendo il divario. Ci gratifica e ci rassicura: non sei veramente tu. È una allegoria di te. Adesso curiamo insieme questo te che non sei te. Ci accusa ma ci salva perché ci allontana da noi stessi. Separa il buono dal cattivo. Ma il discorso sul non cosciente -che vuole proprio approfondire il divario del non cosciente con la coscienza- non può dire che il divario invece non esiste.

Se pensiero è tutt’uno una unica funzione il non cosciente non è altro che il discorso parziale della coscienza sul non cosciente. Questo non cosciente che viene presentato come una realtà a sé stante non è invece altro che quanto si riesce a dire ai suoi confini, per sottrazione, per evidenziamento attraverso il pensiero verbale cosciente che tesse le piegature del filo di ferro costruendo un reticolato, un limite invalicabile, col suo bel cartello di divieto in forma di preghiera “Si prega di chiudere gli occhi”.

La densità della fisiologia originaria della vita mentale alla nascita e durante i primi anni fa un pensare strano, una vigilanza non del tutto autoconsapevole per immaturità biologica, ma piena di iniziativa volontà e determinazione. Quell’immaturo pensare sostiene la propria legittimità che poi sembrerà, alla riflessione della coscienza adulta, protetta da un divieto come una cosa passata per la coscienza e poi dimenticata. Ma così non era mai stato.

Il pensiero si fa continuamente, in tutta la sua estensione, in un mondo e in un modo autonomoi solitari e misteriosi: esso si conosce ogni giorno e via via che si conosce nello stesso tempo si vede svanire in continue trasformazioni. Ogni giorno si svela e si ricrea. Costruisce intrecci di una rete ma quei fili sono le storie del continuamente violato invito alla propria invalicabilità. Il pensiero (cosciente e non cosciente) è un’unica funzione che spinge ad inventare le canzoni serali che dicono ripetuti avvistamenti di frasi definitive, sistemazione di trappole per neutrini, fili per trattenere sogni ed oggetti affini. La madre e il padre cantando contano, pecore innumerevoli saltano gli steccati, e il ritmo più che la matematica inducono il passaggio dalla veglia al sonno, dalla fisiologia della coscienza, a quella di una veglia attutita del pensiero assonnato, fino al salto nella materia muta. Ma si va meglio da svegli e sicuri di noi su fino al monte di un improvviso sonno se siamo accompagnati da vènti vocali.

Tutto il pensiero sembra suggerire che l’assenza di giustificazioni per la massima parte delle azioni umane non minaccia né un nulla di senso e neanche corrisponde ad una anarchica disobbedienza.

Che possiamo fare se la prima frontiera del pensiero stanotte sarà il buio del cuscino profumato? Che dovremmo fare per impedire sl risveglio lo strappo nella carne? Uno strappo è precisamente quello che resta di pratico dopo che si è saltato il filo spinato del dormire. Strappi, ferite, salti, capitomboli, capriole, ammaccature: ogni risveglio è essere improvvisamente noi come dormire è non esserlo più.

Evidentemente illuminarsi ed oscurarsi d’immenso non è solo, per un verso, consistenza lessicale della poesia ermetica, ma la formulazione esatta della rapidità fulminea di tutte le nostre quotidiane transizioni.

Il cambiamento nella natura fisica alla base della realtà del pensiero quando ci si addormenta e ci si sveglia autorizza a parlare di numerose ripetute ed evidenti “trasformazioni” della realtà umana in corrispondenza della quale il discorso della coscienza sul non cosciente diventa il discorso cui il non cosciente fa inclinare la coscienza.

Il discorso del non cosciente porta la coscienza a formulare un linguaggio che rivela gli intrecci delle vie neurali che sostengono il pensiero alla base del movimento dell’apparato linguistico e glottologico.

In questi casi il pensiero può parlare di qualsiasi cosa. In questi casi esso sa parlare di tutto e non sapendo di sè è -tutt’altro che narciso!- sbadato e generoso.

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Ci si assomiglia dopo un certo tempo insieme. Sono cose note. Sono accettate. Non è un accordo cosciente. Riguarda un po’ lo scrivere un po’ il parlare e altro. È espressione più che sostanza. Ma perché accada devono essere avvenuti cambiamenti essenziali. Forse è un legame questa somiglianza acquisita. Non sarà accaduto sempre. Magari a volte si continua pur restando a lungo vicini ad essere se stessi e non so se è bene o male. Forse è ‘peggio’: perché è opposizione. Però forse secondo qualcuno è ‘meglio’: perché è identità. Ma l’identità se è impermeabile e impenetrabile chissà se va bene.

Scrivo di questo pensando che ormai la scienza si accinge a studiare le eredità multi fattoriali del genoma riguardo ad ogni aspetto della nostra vita somatica e psicologica. E che dunque, a meno di voler forzare ideologicamente la realtà delle scoperte in una negazione disfunzionale, la psicologia ha l’obbligo di  scoprire se ci sono e quali sono le azioni trasformative reciproche nei rapporti tra di noi durante la vita. Quanto spazio hanno le parole e le cose che diciamo e facciamo nel cambiare quello che resta. La debolezza dell’amore cosciente e non cosciente. La capacità di penetrazione di un movimento. I cambiamenti che si verificano nel linguaggio nel movimento nei gesti quotidiani per la vicinanza costante degli altri. Quanto potere la realtà fisica sottile della vita esercita sulla realtà materiale dell’esistente.

Studiano l’origine genetica multi fattoriale e scoprono la culla di tutto nella realtà materiale della biologia. Sanno che il colore dei capelli e la nostra altezza sono pre-scritte. Guardano l’essere umano e sono sedotti: sanno bene che anche il pensiero d’essere sedotti origina dalla realtà materiale. È un pensiero non attivo, non è volontario. Segue ad una serie di movimenti parole e figure travolgenti, precedenti. Cercano nella culla e trovano la parola pre-disposizione. La realtà materiale diventa la realtà fisica delle parole “origine multi fattoriale”. Non solo: la metafora linguistica consente loro di addentrarsi nella lettura del libro del genoma: di alludere al lessico, alla grammatica e alla sintassi di una letteratura. L’acquisito, il di più del dato osservativo, si riflette su quanto si vede per renderlo più umano e comprensibile. Come se le parole risultassero di per loro allegorie di una probabile condivisibilità del mondo. Saettano gli sguardi dei genetisti dentro la spirale di DNA: oramai sanno leggere la stringa crittografica. Ma non sanno il significato di quelle parole. Ancor meno le forme dei legami tra gruppi proposizionali.

Giotto pitturava allegorie agli Scrovegni. Da poco del tutto risolte nella potenza degli incroci possibili tra le figure che si guardano dalle pareti opposte. Si è accertato che essi contengano, tra gli altri, un percorso ‘terapeutico’ di guarigione da varie malattie del pensiero e del comportamento ( malattie dell’anima si diceva a quei tempi….)

È così? La realtà fisica del pensiero fa l’allegoria specchiando il genoma?

La realtà fisica del pensiero, per quanto ho capito, è inclusa di certo nell’olivo dei cromosomi. Stanno nel nucleo avvitati su se stessi lungo l’asse invisibile di un tempo millenario condensato nella realtà materiale organica: una successione di ‘basi’ costituenti i geni allineati lungo i cromosomi. La realtà materiale di certa speciale biologia è il perpetuo sonno denso, ottuso e insignificante della pulsione. La biochimica dell’espressione genetica è la prima funzione per l’esistenza. Il pensiero è la realtà fisica: il sogno di quella speciale materia: nella specie umana è pensiero, comportamento, linguaggio, scrittura.

Per questo dicevo che la scienza che studia le eredità multifattoriali del genoma riguardo ad ogni aspetto della nostra vita (somatica e psicologica) ben poco lascia al mistero di un aleatorietà assoluta. L’origine è materiale. La vita fisica del pensiero è sottile e pare libera da determinismi perché non è meccanica. Adesso è nell’ignoranza nello stupore e nella seduzione delle allegorie del pensiero la nostra libertà. Questo autorizza soltanto una convinta modestia: che alla psicologia non resta che scoprire quanto spazio avranno le parole e le cose che diciamo e facciamo per cambiare  le sorti nei campi di azione liberi dalla pre-disposizione.

Per adesso la libertà è ampia pari all’ignoranza dei genetisti che rende essi stessi preda di grandi movimenti psicologici di sorpresa stupore eccitazione e anche rabbia, talvolta, di fronte allo sterminato campo di predittività che si sono aperti. E per via di quella loro ‘ignoranza’ la psicologia ha ancora tutto il fascino del pensiero fisico che si specchia sul sonno della biologia nucleare. Noi psicologi, riflettendo a proposito della spirale dell’intreccio proteico dei cromosomi, esercitiamo la potenza di un fuoco di olivo esprimendo interpretazioni: esse hanno la scientificità probabilistica dei fenomeni caotici e, talvolta, il calore degl attrattori strani. Si fa la cura, purché alla fine sia garantita la legittimità del e la certezza dell’altro: in un azione originaria del pensiero che non ha necessario il desiderio.

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Faccio pensieri prevalentemente stupidi e dico stupide cose e stupidamente vivo e mi muovo quasi inebetito senza un fine che valga la pena. Per caso ogni anno non più di due o tre volte, senza programmazione né cosciente volere (che forse inconscia sempre resta una attrazione eterna) mi godo una parola e il suono di una seggiola spostata rumorosamente di una che mi si avvicina cambiando di posto al bar per bere il caffè e parlare insieme. Non porta mai a ‘niente’ se è questo che ci si chiede leggendo, ma non è giusto dire che sia esso un avvenimento stupido e senza senso, dato che la relazione di vicinanza e conoscenza con una donna è l’unica cosa che mi fa pensare allegramente e sorridere perché è ‘movimento’ e anzi proprio ‘attività’ umana potentemente simbolica ed è pieno di contenuti di sessualità e sanità.

Sto bene ma in modo assai meno significativo quando osservo il sole e la luna e il mare e la natura dei monti e la neve che mi riportano alla scoperta di certe capacità di scrivere scivolare leggero o accedere al ricordo di certi antichi successi dopo impegni assunti e portati a termine. In quei casi c’è soprattutto il sapore del ricordo, non ci sono l’erotismo e la speranza. Solo l’esattezza di un bilancio che faccio da solo in mezzo alla natura e non so amare pietre e sabbia.

Dunque in genere io penso inutilmente secondo una fisiologia di base, una forza di espressione puramente elettrica. Seguo e sono trasportato e spinto dall’inerzia potente della biologia mentale. Penso come tutti continuamente e non ci sono molte cose che valgono la pena. Il pensiero si serve di sé e anche di me per certi impegni esclusivamente finalizzati al suo essenziale sostentamento. L’amore è un lusso. Le emozioni devo coltivarle e allora dico che studio, però veramente è passeggiare tra i rovi e i frutteti e ferirsi è un vantaggio. Le gocce di sangue si succhiano per ricordare tremare e raccontare la sera contro la noia di sempre.

Il pensiero prevalentemente sono cose che non valgono la pena, ronzii.

È bello la mattina uscire, forzare la serratura del sonno e socchiudere persiane e portone sbucare dalle scale sul giardino. Pensieri abbastanza inutili vengono spazzati via ‘fuori’, in un mondo fisico reale anch’esso insensato tutto venti e musica ‘rave’ composta di fenomeni atmosferici, di umidità e luce e voci, chiacchiericci, turbini e risate incomprensibili: insomma una serie di cose che accadono e non ci riguardano minimamente. Però quel pensare stupidamente si specchia bene sul niente di interessante oltre il giardino e nulla più pare inutile e il mondo prende forma.

La natura fisica della realtà del pensiero sposa le vibrazioni della luce del suono e le pressioni del tatto e le modulazioni chimiche di sapori e odori. Dallo sposalizio nascono movimenti muscolari e silenzio. Il sé o forse addirittura l’io. Non saprei.

Quando studio tutto sparisce e restano solo i movimenti degli occhi che scorrono da sinistra a destra le righe scritte e lo scroscio di sguardi precipitosi sulle illustrazioni i grafici le equazioni e gli algoritmi esplicativi e dimostrativi. Alterno silenzio e movimento. Anche ora. Alcune cose che faccio sono una lotta continua contro l’affermarsi della pulsione. So con certezza che non c’è bisogno che siano cose ‘intelligenti’. Lo stupido muoversi senza senso degli esseri umani, il fare operoso e forse più i superflui attimi di vicinanza tra donne e uomini e tra ragazzini e adulti che si interrogano attorno ai tavoli di cucine o gelaterie o si guardano in strada indecisi ogni volta se prendersi per mano o fuggire a distanze differenti: tutto questo è l’azione della vita che vince la pazzia.

La pulsione risiede in genere tra coloro che doverosamente eseguono impegni illustri e esplicano il potere su altri. Per quanto sappia che stupido è il continuo avanzare del pensiero però serve a che non sia mai inerte chi agli occhi dei potenti stupidamente vive. Chi stupidamente vive e con incertezza alterna silenzio e movimento, in colorati dubbi, sta resistendo ai poteri.

Ondeggiamo come campi di cotone ben noti. Confidando di realizzare un qualche senso con quel nostro andare e venire per tenere la giusta distanza con gli altri, specialmente con quelli che amiamo. Se è vero forse con amorevoli ma incoerenti intenzioni disegneremo tratti di esistenza decifrabili solo a distanza. Che ci sfuggono per ora. Perché siamo sempre troppo vicini a noi stessi per capire bene. Ho intrapreso una attività perché si provi a verificare se va bene, più o meno, quanto accade in una certa relazione collettiva di modesto numero. I momenti di verifica del transfert e del contro transfert, definiti secondo una teoria sistemica delle relazioni, si sono costituiti in un rapporto complesso. È la cosa meno stupida di tutte quelle che mi capita di fare.

Insieme ad altri neanche la biologia elettrica della vita mentale pare più così fatalisticamente aggregata alla materia. L’accordo conferisce una dignità ai propri pensieri come se essi non avessero più niente a che fare con le ‘cose’ fisiche e avessero consistenza solo concettuale di spiriti. Non è vero ma questo dice quale sia il fascino dello sviluppo dei primati in ‘homo sapiens’. Il principio dello stare insieme garantisce la costituzione di uno statuto di realtà per il pensiero di ciascuno.

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nulla: no thing


Posted By on Ago 12, 2014

imageDi per se un pensiero non è conoscenza. Il nulla dal quale si creano le cose della natura esiste? Nulla è una parola di smalto lucido che ha la realtà della natura fisica del pensiero. ‘Nulla’ come generazione psicologica di linguaggio verbale è una realtà di pensiero. Ma non è conoscenza nel senso comune di designare una realtà ad essa corrispondente esterna alla sede encefalica. Addirittura: se volessimo imporre tale corrispondenza dovremmo tentare la distruzione fuori di noi senza mai ottenere il nulla di cui si ipotizza.

Essenza della pazzia: la mente perde gli affetti e compie azioni intenzionate a fare il nulla riuscendo, durante il delirio, a portare la distruzione nell’esistente e, in forma di fantasticheria asintomatica, a negare la natura fisica della realtà. Nella pazzia del delirio e dell’allucinazione il movimento e la meccanica delle azioni della neurologia cerebrale vanno oltre i confini di scarsità e rarefazione. Un super-io dittatoriale impone di realizzare la pulizia e la neutralizzazione assolute. La mente può ‘pensare’ la natura spirituale della mente. Il pensiero, da conoscenza, diventa credenza.

È il trionfo della pulsione che non ha figura. Però poi la vitalità che non ha immagine imprigiona la pulsione nei tratti della scrittura rendendola innocua. Il linguaggio che -nominandola- smaschera la ‘pulsione’ è la forma evoluta dell’antico pensiero del ‘nulla’.

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Il tempo materiale di luglio ha in sé il pensiero delle vacanze per stanchezza. Il lavoro ha dovuto essere puntuale per tutti i versi durante un anno ininterrotto. Il tempo materiale non è mai uguale a causa della sua natura fisica. Ogni giorno e mattina e ogni ora sono differenti. Quanto succede nella realtà dell’universo succede nel pensiero cioè nella biologia cerebrale e per questo siamo imprevedibili e renitenti, comunque per questo non si può portare l’inconscio alla coscienza, l’imprevedibile al prevedibile. Invece succede che il pensiero a contatto con il tempo facciano continui mutamenti a causa delle interazioni reciproche dei loro stati fisici secondo forme di densa eleganza in un lavorìo che, se si vuole perderci un po’ di tempo, si vede bene nei tronchi degli olivi centenari. Il tempo e il pensiero sono legati per la loro durata e sono ininterrottamente insieme. Così mosso dal tempo e dal pensiero il comportamento del corpo è anch’esso ininterrotto. Dato che sono comportamento l’attività volontaria cosciente, la mimica sottile e non volontaria e il dormire del corpo abbandonato nel sonno. Strofinano i lenzuoli volgendosi di qua è di là e sognando i sequestrati: legati e bendati, dentro le tende piene di afa umida pluviale, dormendo realizzano un comportamento ‘libero’ e comprendono meglio di tutti il tempo materiale del sonno e il pensiero fisico della veglia piena di speranza: mare calmo e spiaggia.

Lontano dal rumore sulla strada silenziosa mi domando quale via sensoriale segua lo stimolo di una visione differente dal solito della realtà fuori di me affinchè si realizzi, come fosse percezione di una cosa fisica differente da una illuminazione concettuale, la certezza mentale di un ‘tempo materiale’?

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