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Non basta la pazzia del sonno? È in quel frangente che tutto il mondo che tenevi in pugno emerge dal mare. È un continente grondante miriadi di goccioline d’argento e cobalto che affiora. La superficie dell’oceano è il dorso di un dinosauro da cui esplodono torri di città guglie di chiese spruzzi di balene e fumi di ciminiere e scaglie mani unghie spade carabine rami di alberi da frutta orti di verdure semisommerse. Pietre di zolfo. Chi dorme ha tolleranza zero per qualsiasi preoccupazione avendo abolite le garanzie e la vigilanza su furti rapimenti passioni invasioni alluvioni e tramonti. Ma se tutto è così -fatto da aurore fradice di acqua che si ritira- quanto si estende il territorio tuttora inabitato ma non inospitale? La scrittura ha una sua estensione il cui ‘tempo’ non è a nostra discrezione come sempre per la realtà fisica percepibile poiché il pensiero non ha estensione spaziale convenzionale, anche se per la sua natura ‘fisica’ esso deve esprimere azioni molecolari che si svolgono contemporaneamente le une con le altre per istanti rapidissimi in schemi anatomo/funzionali ‘uno sull’altro’. In un magazzino di tappeti dormiamo. Su sfoglie casuali e occasionali. È pensiero ancora mai compreso perché non legato da vincoli logici. Non ha neanche alcun significato mitologico. La materia non ripete tragedie. Non è un’intenzione che ammucchia gli strati di tessuti vegetali. Non esprime neanche qualche tipo di amorosa intenzione di misteriosi magazzinieri. La pazzia del sonno è la ‘pazzia’ della biologia. La biologia implica che non potremmo sopravvivere che pochissimi giorni se non potessimo distrarci da ‘tutto’ su quei giacigli di confusione. Poi al risveglio il riposo é infantile gratitudine. Dormiamo intanto che il mondo così ben organizzato da secoli di civiltà è  sprofondato in una coltre di silenzio accidentale e di delicato attrito tra pelle e lenzuola che generano il minimo calore necessario a mantenere vivo uno dei tanti sogni che non restano mai uguali.

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“LA TERRA DA DOVE VIENI TU È IL MODO COME ARRIVASTI”
copyright: claudiobadii

Questo concerto a due voci. Questo dire: ed è stato allora che… Poi il racconto precipita nel sorriso che si fa strada nelle resistenze dell’incredulità. Una nave che procede sulla banchisa. I croceristi imbacuccati in bianco. Gli orsi marittimi a bordo. I ponti. I gruppi tribali. La nave una foresta galleggiante sul freddo della attuale scena politica. Si alternano scene una sopra l’altra. La mente un palcoscenico a mille piste e le quinte si confondono fanno il vento proprio loro le quinte uno spettacolo di teli verticali di onde stese impreviste ad asciugare che non asciugano mai, in apparenza. Questo sono gli amori: l’apparenza dell’eternità poiché evaporano così lentamente che farli durare è il bello ‘erotique’ dell’esistenza. Le prime attrici sono molte. Affollate a rubarsi la scena. Attrici sempre ( ne ho incontrate senza sapere altro di ciascuna se non che erano, ognuna per proprio conto…) disperse lungo i piani prospettici di certe loro preoccupazioni di essere inutilmente amate senza capire niente altro che la confusa sensazione del piacere di carezze e pasticcini al rum. Filosofe nei cenacoli sciolte chiacchierone sui divani che possono essere dovunque collocati dentro il progetto delle infinite abitazioni che gemmano da ciascuno dei disegni delle case di Escher. Ci si arrampica senza fine sulla graduale complicata serie di giudizi di merito, ma la scala, tanto ambita, purtroppo soltanto è un’idea irreale, è una promessa di scala, tradita, perché si può disegnare l’impossibile  e promettere l’irreale, realizzare una finzione che non tiene altro scopo se non di tenere nascosta la malattia che si vorrebbe combattere. Si cammina sui soffitti.

Ma, invece, tu, camminami sul cuore! Àbitami che io possa alla fine capire. I maschi sono in genere occidentali del nord. E non sanno gran che. Abituati come siamo a comandare. Non pensiamo niente di veramente nuovo da millenni. Dunque bisogna che voi ragazze ci scandalizziate almeno un poco ad ogni costo. Solo per poterci fermare il momento di un invito. Non sperare che un maschio cambi. Non cambia.

Mi hanno raccontato però il sogno della macchina che percorreva la calotta ghiacciata sciogliendo il ghiaccio nel procedere. Qualcosa di differente. Il gelo dell’Antartide implica la disabitudine. Ho pensato alla lotta della femmina con l’ottusità dei ragazzi degli uomini dei vecchi. Il maschio propone l’impossibilità che sa di incurabilità. La ragazza pone la potenza dell’insistenza. Sragionare. Vado a cercare nei dintorni con la nostalgia del presente che tengo appena discosto dalle ore di lavoro. Lungo la costa di questo presente nostalgico sono un avvistatore sul pennone principale del galeone, una piccola vedetta quasi suicida data l’altezza necessaria, ed assisto alla vita di certi amori che non sono direttamente miei amori ma sono gli amori di chi amo. Ho questi amori transitivi, dolcezze e trepidazioni che mi arrivano traversando la carne di quelli che più tengono a me. Appartengono ad altre culture. Per fortuna posso essergli sempre vicino grazie alle corvée quotidiane. Essi vivono ma non per accettazione. È differente il loro vivere. Differente all’origine, hanno la grazia originaria non il peccato. Hanno di lasciarsi, nascendo, la morte dietro subito. Definitivamente sono assolti. Non hanno il patrimonio della rassegnazione filosofica che conosco dentro la didattica occidentale. Negli occhi le mani strette in un patto ben fermo a osare addirittura le piadine, il coucous, le cucine all’odore di banane e riso dolce. Le sale, quasi povere, al sapore di calcina e di imbiancature. Vivono nella scenografia della foresta, ricreando nello spazio attorno a sé un collage di frammenti di sole. Lassù dove vivono, le risate silenziose e la pazienza impossibile e l’assenza di rabbia sono nuvole di rami e quando arriva la prepotenza del sole della ragionevolezza illuminata del gelo volteriano…. quella fredda luce si frantuma e si scalda precipitando dall’alto attraverso le foglie e le radici aeree taglienti e dure di ciascun albero che da mille anni aspetta la luce omicida per frantumarla e trasformarla. Cambiano il veleno nella sua fisionomia di farmaco per darselo addosso come una crema di bellezza. Così con quei pavimenti di calcina e risate loro, gli amori di chi amo, non hanno i piedi feriti di quelli che, come noi, camminano sui vetri. Hanno il sangue come un fiume. Non come i torrenti che ci attraversano rumorosamente il cuore rompendo sempre il poco di pazienza che avevamo costruito noi.

Anche questo mi serve per il mestiere della ricerca in psicoterapia. Nella cultura occidentale e orientale ci sono solo morte e fredde certezze. Io starò da adesso nei fiumi di sangue. Sarò uno regista splatter alla Quentin Tarantino. Per tenere accanto il calore. Scriveremo una strada calda di rosso e costruiamo con l’aspra dolcezza del riso e delle banane un reticolo ipercalorico sulla banchisa. Eschimesi equatoriali.

L’amore non si merita, non si deve possedere la presunzione dell’amore sempre e comunque. Bisogna provare a capire, semmai, dove e come i nuovi amori -non più occidentali e non più settentrionali- abbiano potuto trovare qualcosa che ora ci regalano mentre dicono che è qualcosa che tenevano per noi. Bisogna amarli laggiù lontano, milioni di anni fa. Immaginarli da soli, senza di noi. Ora che arrivano agli appuntamenti settimanali tutti loro, riuscire a vederli (immaginare) nello scenario del tempo, già bellissimi proprio come quando, capitati accanto a noi dopo quei milioni di anni, finalmente dicemmo loro ti amo la primissima volta. Bellissimi dunque da sempre, per quel che ne sappiamo, non per noi ma nonostante l’assenza dei nostri sguardi innamorati. A volte sembra possibile realizzare il pensiero di un transfert ‘ultimo’ …. come ‘guarigione’. Certezza della nascita: che esiste un seno.

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“TRIBUTE TO”
©claudiobadii

” Ricerca sulle parole per la psicoterapia nell’Opera Poetica di Seamus Heaney* e i riflessi della traccia mnesica del pensiero non cosciente in ‘Onde’ di Virginia Wolf

I rilievi del pensiero moderno che siano passati al vaglio ma, prima, illuminati dal vento traverso dei poeti e dei letterati migliori. Apici, in sezione, e valli e apici e valli e. I semafori, grattacieli di colori uno sull’altro, consentono (in realtà costringono) ad arresti e rilasci modulari. Una impronta sul terreno di polvere di perle per il passo ogni volta assai grande dell’umanità. Suscita sensazioni di fascinazione la visione delle diagonali cosmiche è credo vento stellare. L’attività fisica della mente un po’ prende atto e di più mette di suo producendo su ciò che è effetti pratici a-posteriori insomma si hanno le mani sulla creazione ogni istante riguarda il disegno delle stanze. O la credenza sulla forma di cose marginali ma influenti. L’attività fisica della mente aggiunge, dunque, decoro. Espressioni alte ne sono scienza e poesia. Non ce ne sono di meschine. Esempi di forme quotidiane ma non meschine di decoro sarebbero grazia, cortesia, non alzare mai la voce, portarti al cinema il lunedì, i ragazzini per mano lungo il bordo del marciapiede nel gioco di equilibrio, e luglio con i cucchiai e le coppe di acciaio luccicante con il ventre quasi piatto pieni di gelato alla crema. Sarebbero perché le coppe di gelato alte con i ventri ampi -appoggiati all’asse freddo e sottile- e distesi in una leggera convessità al cielo non se ne trovano più. I bar hanno suppellettili frettolose. Di peggio c’è che i più ci siamo impoveriti. Fondente come vaniglia al sole è tuttavia il pensiero bello che cola sulla mano. È ancora erotico disegnare le tue labbra sulle tue labbra con l’indice e il medio bagnati di quel latte che sghiaccia allattando il desiderio di imparare a dire tutto in altri modi. Mettere le mani su di te come fossi la creazione. Ogni sera chiudendo gli occhi per dormire poniamo un’impronta sul terreno lunare di polvere di perle. L’attività degli occhi che si chiudono escludendo la luce è come alla nascita. L’esclusione volontaria dello stimolo fisico senza perdita di rapporto con la realtà é stata nominata ‘rifiuto‘ per distinguerla  dalla corrispondente dimensione malata che è la ‘negazione‘. È alla base del sonno e del sogno, ma specialmente del pensiero creativo cosciente. L’erotismo è la placida potenza con la quale il rifiuto muove le dita sul tuo corpo uguale al corpo della “Regina della Torba” che fu estratto dal regno fossile di Danimarca e che adesso riposa di nuovo per sempre dentro il libro “NORTH” cioè la raccolta introvabile di poesie del 1975 di Seamus Heaney e poi sono io che mi chino su di te che la vitalità del sonno ha tenuto vita immobile fino a me. Non inorgoglirti come questo che dico fossero voglie senili di un piacere fuorviante. È che il sesso è -in ambiti stretti di pertinenza della linguistica terapeutica- conoscenza. La radiazione di fondo a partire dall’origine di una carezza alla nascita. Si espande poi: il seno che disegna la bocca del neonato che disegna il capezzolo all’apice del seno e impara la base della matematica.  Apici in sezione valli e apici e valli e cioè anni e anni dopo la possibilità ( o meno… ) di imbatterci e comprendere il senso della scrittura di Virginia Woolf in ‘Onde’. La traccia mnesica delle impronte del seno sul viso mostra negazione e rifiuto come onde. Il verso della corrente spinge il rifiuto contro la negazione. La rotta curva lungo la deriva e manifestamente quel mare è buono dico calmo e non immobile. Le barchette andavano sapendo di doversi scontrare con il malocchio culturale che, chissà perché, negava come utopia la speranza di rifiuto. Barchette che hanno tutt’ora quasi esatta la forma corrispondente alle onde del mare infantile. Il seno non aveva figura e la parola dice che era segno di possibilità di esistenza in assenza di pensiero verbale. Il resto è quanto si deve ancora esprimere e certezza del lavoro umano.

nota per Seamus Heaney qui

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