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Classico antico: massiccio dolomitico rosa tre quarti a destra. Est, si sarebbe detto. Mare di conchiglie illuminate. Sospensione dei corpi subito prima di: è l’orlo. Un anello di diffrazione o la corona di luminescenza sfrangiata delle eclissi totali. Siamo margine sociale fatto di coppie nude estatiche. La santità sessuale si è diffusa e ampliata. È parso evidente che aumenti le intelligenze ed è comunque certo che la felicità, anche in modeste quantità in ogni modo generata poi si riversa fuori e può fluire.

Ma la scoperta è che non si tocca l’attimo. Si accenna come il rito del servizio tennistico. Oscillando sul posto, spedendo forte contro il terreno la pallina che torna nel palmo mentre gli occhi corrono dopo la rete e dopo l’altro di là corrono in un baleno verso una stella dietro la curvatura terrestre. Il presente tanto celebrato non ha alcuna dimensione tangibile fisicamente. Ci sono la terra la carne e l’aria ma non il presente. Il presente sono perpetui rimandi e consolanti ritorni non altro. Siamo noi che ci troviamo sempre con una certa ripetitività, un certo ritmo. Una caramella rossa e gialla è amore confezionato sfrigolante in striscioline sgargianti ricavate -dalle coperte termiche dei migranti assiderati- dal lavoro dei ragazzini nei cortili d’asilo alla bocca della miniera alla quale lavorano padri e madri.

Il passato è rosa antico. Il presente è quel tessuto sintetico, quella lamina di laboratorio intrecciata nelle fabbriche tessili della attuale rivoluzione industriale: presumibilmente l’ultima, certamente la più feroce.

Così se il presente avesse consistenza potremmo fermare i diavoli. Incastrarli in un punto della nostra invivibile attualità. Sarebbero, da quel momento, eternamente presenti dentro l’attimo in cui loro e noi ci eravamo trovati cosicché noi avremmo potuto immediatamente assicurarne i polsi ad un artiglio roccioso di quel famigerato presente. Se solo esso per sua natura potesse essere finalmente emerso e restato per un attimo abbastanza consistente e ‘lungo’ da incastonarci i diavoli per sempre.

Non ci è restato che l’amore che finge l’eternità. L’eternita che sul presente si appoggia: se il presente esistesse esteso appena più del suo proprio farsi costantemente diabolico auspicio di fine.

Storia: in un adesso inconsistente i re nelle sale grandi hanno, come i poveri in canna, diavoli subito poco più in là che discretamente fanno festa.  Nell’arte e nella ricerca, nello studio, nel sogno consumiamo -comunque incoscienti ridendo- il nostro pranzo domenicale di noccioline e yogurt. È umano aspettare un sintomo: un incrocio tra il loro e il nostro mondo per suturare il loro sorriso sgradevole. Intanto si corre sul filo del tempo tenuti in equilibrio dall’asta bilanciata delle parole che si perdono a destra e a sinistra nella massa di universo attorno a ciascuno di noi.

L’aria del sonno è piena di volatili anfibi come siamo noi dormendo una volta che abbiamo perduto la regalità del controllo vigile sulle cose. Allora, per inciso, abbiamo l’unico presente ‘possibile’. Ma non lo conosceremo mai essendo noi, in quel caso, senza la coscienza. Nel sonno senza i sogni i diavoli non fanno incursioni: non arrivano mai per questo a noi definitivamente. Perché restiamo umani anche e soprattutto nel sonno senza la coscienza del sogno.

Così al risveglio la laguna di acqua mi è parsa quieta e riparata: era abitata e abbellita da rapidi voli di spigolosi frammenti scagliati in ariosi canti. Sono gli acuti sentimenti di caparbietà e di pretesa: non sono semplicemente ‘volere’.

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Verdi e il verde mare. Libiamo. Se la marea si è svolta si vedrà dalla crescita misurata del riso ai lati degli ultimi duemila trecento metri prima di svoltare a sinistra per la spiaggia. L’orizzonte è una lingua di verdemare. La semiretta dei corpi punta ovest/nord ovest. Sistema tutto una luce di mani evanescenti che allineano il pranzo di pesche mature, il the alla menta, le salviette profumate per il sole. La musica sale alla mente dal filo del registratore attraverso gli auricolari. Distrarmi da questo eccesso di perfezione è impossibile. La cura della disposizione dei bagnanti è quella di un arazzo. Io ho trascorso qui i miei anni migliori. La vita è corsa con la rapidità dei volteggi del tuffatore che infila il proprio corpo in anelli invisibili, precipita lungo un filo di acciaio ritorto, cade dentro dedali trasparenti, poi in fondo trapassa la seta d’acqua col rumore di un soffio e sparisce sembra non tornare mai più a respirare seminando sorpresa e trepidazione sulla riva.
Disteso su uno degli asciugamani sono perpendicolare all’orizzonte. La musica lungo il filo bianco degli auricolari si versa nella mente e dal punto di vista sensoriale ha lo stesso timbro diafano della luce agitata quando ancora non ha incontrato corpi solidi. Questa perfezione lucente dell’aria piena di sole insieme al vuoto cognitivo dei suoni determinano una felicità regressiva. Dall’immagine acustica all’analfabetismo semantico fino alla nascita. Resto a lungo su questo telo da mare profumato, col the freddo su un rilievo di sabbia, sulla spiaggia apparecchiata dalla luce diafana di giungo. L’eccesso di perfezione si completa nell’arazzo dell’inquadratura aerea dei bagnanti. A quella distanza tutto corrisponde: la sapienza delle interpretazioni degli anni settanta nel riposo turbinoso del setting ha dato luogo alle evoluzioni della vita di tuffatore e alle intuizioni traslucide della attuale ricerca sulle funzioni prime della specie umana. Figura, immagine, diafana coscienza del mondo esterno, nascita.

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grigi


Posted By on Mar 12, 2013

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copyright Anita
per
OperaPrima

 

Alle sette ogni mattina sono sotto casa tua. È un inverno generoso come lei fu con me la primavera di quarant’anni fa. La fantasia del ricordo compone temi di felicità in chiave variabile.

Le chiavi si scelgono secondo lo strumento non c’è alcuna libertà della composizione musicale. Anche le differenti forme della felicità non sono semplici casualità ma complessi risultati.

La mattina presto da te. Sei aria, il peso dei libri e dei quaderni, i capelli richiamati in alto sul volto assonnato e perplesso. I tuoi capelli stretti dal laccio colorato sono un trattato di pace.

Confondo presente e passato. Il cielo delle nostre mattine invernali è fatto di sabbia grigia uguale alla sabbia attraverso la trasparenza d’acqua di allora. Madreperla diceva la merciaia.

Mentre ti accompagno a scuola ricordo la volta che con lei restammo tutto il tempo immersi nell’acqua della baia fino ai fianchi. Il gran discorrere tra noi e l’accordo per la vita con la saliva alla menta.

Le ragazze stampavano denaro una volta. Così ora non distinguo bene il regalo di lei quaranta anni fa dalla tua preziosità di ragazzina. La generazione dei ricordi avviene distrattamente come dev’essere.

Il sudore i nidi la calce dei muri le spine la salvia e non-morire. Il tuo viso è legato alle nuvole i tuoi occhi di ora riflettono il cielo con la qualità magistrale del vetro dei suoi occhi che covavano il sesso in forma di desiderio e sapienza.

Ti accompagno la macchina nel gelo e ho il calore delle pietre marine dei suoi baci nell’insenatura e dei tuoi sorrisi di legno di pino. Stanno insieme la resina il cono del vulcano e le strada. La fantasia ha le strategie della lava.

Corriamo insieme verso la scuola tua nel gelo con la certezza di averla amata. La sovrapposizione di memoria e presente fa il soggetto. Un’indigeno nel giardino di castagni. L’estate è stata un’agenzia di viaggi.

Passato e presente: cantiamo in silenzio, in cuore. Tu guardi fuori, la strada. Io guardo dentro, la storia. Acqua spine grovigli dita sabbia nelle tasche pagine incisioni. Striscioni al traguardo: “Ti Amerò Sempre”.

Nel tempo a partire da un amore senza limiti diventiamo preghiera e ossessione. Tu ed io eravamo stati promessi l’una all’altro quaranta anni fa. Il tuo viso assonnato in premio alla mia costanza.

 

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niente di simile


Posted By on Dic 30, 2012

foto di Mario Giacomelli

foto di Mario Giacomelli

niente di simile avevamo visto perché nell’abbraccio in effetti il suo volto è sempre svanito dietro l’orizzonte della nostra spalla e siamo stati amati dal vento di una corsa verso quanto oltre noi era già la nostra storia

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