Posts Tagged "silenzio"


 

“Più allegra, perché più sofferente” dice la frase di un saggio sul popolo brasiliano e la rivoluzione politico sociale effettuata da Lula negli anni dei suoi mandati elettorali. Questa affermazione è dolce a coloro dai quali ha in regalo la comprensione. Ho una innata simpatia per quelli che possono capirla, quella frase. Essa, dunque, mi ha trascinato tra la gente. Sempre la luce vedo in certe frasi. Le idee altrui ficcate negli occhi. Le sonde dell’intelligenza da ogni parte.

Camminando il pensiero sono variazioni di affetto, perforazioni nel ghiaccio dell’artico. Non ci sarebbe niente di scritto nella mia vita senza la simpatia, la vicinanza, e la conferma precaria. L’invidia sontuosa mi porta -segnalando potenza e bellezza altrui – alla sartoria per il vestito da cerimonia. Per le celebrazioni di incoronazione, fondazione, varo, conferimento, inaugurazione, augurio, ricordo, trionfo, vittoria, compassione civile, orgoglio popolare, opera lirica, sinfonia, teatro tragico, comprensione e concerto.

Pare che dalla realtà delle strutture anatomiche e biologiche cerebrali si passi alla funzione mentale attraverso la fisica delle particelle subatomiche. Si può dire in altri modi -forse- ma credo sarebbero dilazioni, di quando non ci si vuole assumere la responsabilità di un immobilizzazione e di un ritardo. C’è un punto di difficoltà innegabile, prima di andare oltre la simpatia per il sublime.

Essa alla fine è solo una resa. Contro l’immobilità della simpatia e il ritardo della condivisione delle banalità vado puntuale al mio solito lavoro: il minimo che posso fare. Che vuol dire che è anche il massimo e l’essenziale per cominciare. Non si deve avere troppa ansia e troppa sfiducia. Altrimenti si fallisce. Si va incontro alle aspettative irreali e alle delusioni.

Si deve studiare. Lasciare alle spalle il presumibile. Così oggi leggevo, in un libro di fisica, veramente, non di psichiatria, che il problema della comprensione e dunque forse della legittimazione di certi ‘fenomeni‘ si lega al linguaggio. Che esso è, applicato al problema delle interazioni, proprio un completo fallimento in genere. Perché si struttura secondo una logica causale della realtà percepita e non ha derivazioni dalla fisica delle probabilità.

Il linguaggio che ha solo cose possibili è cieco. Ha una struttura che lo rende opaco -forse irrimediabilmente- ed è una grande complicazione per il mio lavoro che non ha che  parole per funzionare. Così sono rimasto in silenzio, a lungo, e la mente non suggerisce nulla di nuovo. Forse è un difetto di pensiero che mi prende, un po’ credere che questo arresto sia la fine. Fine del tempo a disposizione. Della vita. No, è un luogo. Una piazzola nel deserto di fiori.

Con solo i fiori e senza la presenza umana. Essere alla fine: è così che tuttavia angosciosamente procede la logica: verso la fine, la morte, il piacere della conclusione definitiva. La logica procede per la morte. Ha alla base l’istinto di morte. Dopo ha alla base l’irreale del paradiso o della prigionia. Forse la fisica del pensiero sano ha invece ripristinata la vitalità, che negli esseri umani è una continuazione costante di una origine inarrestabile. Forse.

Alla base è sonno della nascita e anatomia illustrata per immagini: silenzio, mutismo verbale, cellule. Poi componenti strabilianti e solo immaginabili, perché non si indaga su se stessi oltre un dato limite di apprezzamento. Càpita il pensare non cosciente, senza rilevanti dati da segnalare ‘là fuori’. Càpita l’immagine che emerge da una via sottile, una immagine definita “linea di formiche comparse sul muro chiaro“. Elevata tecnologia di biologia indicibile umana.

L’immagine sta in caduta perpendicolare ad una linea di pietre azzurre da mosaico. La base di silenzio di mutismo. Di cellule. Essa durerà un po’ o molto, forse. Potrò aspettare. Non cerco gli stimoli. Alla base sta la nascita che si ritrova nel silenzio della lettura. Nella passività dell’osservazione della bambina che impara a sviluppare l’equilibrio, sulla corda del parco, mentre conosce -ogni volta- la sua migliore amica. Lei ha reso probabili moltissime migliori amiche in ogni luogo della città.

Ora distante dal parco, qui, è una piazzola nel deserto di fiori. Con solo i fiori senza presenza umana. Tranne me: che scrivo le cose che non ci sono e restano senza esistenza: i pensieri. Poi diventano vivi quando sento le persone in fondo alle scale, che tornano (ormai sono tanti anni) perché non c’è stato l’annullamento. Il lavoro ha forma di passi sulle scale. E ha potenza di creare la casa, la soglia, e la stanza intorno alle figure che salgono. E creare le mura d’aria, che separano questa casa dalle altre case.

La strada. Il giorno. Il luogo. La misura. Progressivamente si dispongono seduti sui divani e le seggiole in cerchio, e infine si fermano, respirando leggeri. Arrivo per ultimo, poi siamo all’inizio che sta alla estrema periferia degli abbracci di saluto. All’ingresso. Il metodo della seduta collettiva esclude una relazione ‘fisica’. Dicono che sia preferibile. Nei divani stanno assai stretti. Non si sa che effetto avrà sull’inconscio.

Per saperlo dobbiamo sviluppare la capacità di restare assieme fino all’altra estremità della relazione, che ci precipita di nuovo nel mondo. Abbiamo costruito con la nostra coesistenza -che adesso è allegra- un lavoro. Esso ci ha permesso la responsabilità di scegliere. Gli uni gli altri. Adesso ci tocca pensare alla ulteriore responsabilità di fare altre scoperte.

Il lavoro solitario, lo studio, il silenzio delle piazzole dei fiori: beh, non sarebbero più sufficienti.

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tacere


Posted By on Gen 28, 2012

La voce è portata al proprio limite dall’interpretazione.

Avevo pur detto che mio padre era la Torre Eiffel.

Ma il ferro arrugginito e tonante sui tetti di Parigi era voce di un soggetto ‘plurale’.

La voce del soggetto plurale è divenuto canto lirico e politica tra mondo e pensiero.

Si sa: i suoni che rifluiscono per baciare vengono dalla macchina del sonno di tutti.

Il sonno sono silenzi che sfidano muri neri e chiese vuote.

Il torace che si solleva è l’unico comportamento cui ricondurre il sogno della ribellione

Ricerca: questa allegria siamo noi due, o quel noi è identità collettiva?

(Perché in tal caso questa è una storia differente)

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dopo anni


Posted By on Giu 7, 2011

dopo anni

Forse stava preparando qualcosa di bello, da farci essere fieri tutti, lui, noi, i molti amici, le persone attorno, negli attimi rapidi che concedeva correndo l’ingresso tra le siepi del giardino che lo riportavano a casa, dalle strade del lavoro e degli amori, e viceversa. Era un sorriso silenzioso, uno “…ciao …” incredibilmente intimidito: da far paura, da uno così. O forse era crescita e sapienza, silenzio e gioia, in una parola serietà. Eravamo spettatori ai margini di un area di tempo che non poteva creare nostalgia, o al massimo una nostalgia del presente. Quegli attimi erano l’unica cosa che avemmo per anni senza lamentarci mai perché, adesso è diventato evidente, si era assunto l’obbligo pesante di insegnarci a fidarci di lui. Il sottoscala dove vivevamo allora – senza sperare di poter avere mai più di meglio – veniva quotidianamente abbellito da ritorni e uscite sempre più lievi, la cui leggerezza non arrivò mai a farci temere l’indifferenza, ma ci rese certi della nostra inadeguatezza, che poi diventava un peso che ci tenemmo in silenzio come se, a dichiararlo, il dolore, potesse animarsi e diventare una cosa irreparabile. Come in un sogno, tutto quello che ci succedeva, tutta quella vita interiore e anche tutte quelle cose che facevamo vivendo vicini, riuscivamo ad alienarle ai nostri stessi pensieri, come tutto quello fosse non la nostra vita né più né meno, ma il ‘racconto’ della nostra vita. Solo così credo che potessimo mantenere il sorriso e i modesti ma indispensabili progetti: un fiore da seminare, la cattura di un topolino, le parole indignate di fronte alle diseguaglianze, la decisione di uscire per la nostra pizza preferita, vedrai che pioverà come al solito, accettare tutto il tempo, l’altro tempo, non quello atmosferico: il tempo necessario alla vita con gli altri. La  mia vita aveva forma certa di nuvola, altrettanto certa doveva essere la forma che la vita allora assunse per loro, gli altri accanto a me, perchè non la scambiavamo mai con nessuno, con nessuno cadevamo in esempi sulla nostra vita di quegli anni, e tutti avevamo la fierezza di un atleta che si massaggia i muscoli prima del salto, il volo verso la sabbia lontana dieci metri più in là, dove nessuno arriverebbe di tutti quelli che stanno ad agitarsi attorno. La vita era la passione di dinieghi educati e incontrovertibili, dopo anni e anni ad assentire, e l’animo aveva forma di quel volo atteso verso la pozza di sabbia finissima, creata sapientemente per evitare le ferite  quando il corpo angelico del saltatore sfugge al sogno. Si decideva di uscire a camminare, di soppiatto, come andare ad una festa proibita, come quadri viventi della voglia di vivere. Spesso ci raccontavamo di noi, di come ci vedevamo. E il racconto della scena delle figure le faceva svanire nel suono delle parole, e il pensiero era libero di tornare alle immagini. Tornare alle immagini era di fatto il nostro tacere alla fine delle narrazioni, l’acquietarsi del pensiero affaticato nella culla della materia da cui si era sollevato per dire la nostra felicita. Eravamo piccoli guerrieri alla tavola apparecchiata di noci, che recuperavano progressivamente uno stare insieme come condizione fisiologica del benessere di una impervia modestia. Quelle notti di racconti preludevano alla caduta nel sonno profondo, al cuore del quale si annidava il segreto della vita del pensiero umano. Dopo ore veniva il sogno che portava di fronte agli occhi movimenti rapidi ed imprevedibili di protagonisti diversi. Era la mente allegorica che mandava i sogni in cui si pensava con figure, si subiva l’irruzione di ‘cose’ nei modi del pensiero vigile, si sospendeva il sonno del corpo che ritrova la nascita, per la consolazione di ricostruire una forma di movimento attraverso gli scarti degli occhi che seguivano la descrizione mentale delle azioni immaginate. Quali idee si nascondevano in quel correre amare parlare, nel ritorno da scuola, nel ritorno dalle battaglie, nelle soste nei cortili dopo la resistenza alla violenza dell’approssimazione e dell’ignoranza, nelle ombre lungo il viale del giardino che riportava sempre a casa, nella linea obliqua del sottoscala, nell’eccitazione del profumo di origano e salvia sulle mani delle donne ardenti e infine – solo per dire di una singola notte – nel colore scuro delle giacche degli uomini tessute di tabacco e cotone grezzo – io adesso non voglio indagare. So che l’irruzione dei sogni ci svegliava, e per la maggiore gloria nostra dico che scuotevamo la testa a quelle rappresentazioni notturne di drammi e sortilegi, e si tornava una seconda volta alla materia del sonno, alla natura umana del riposo, alla culla biologica delle funzioni complesse. Il mondo intero sprofondava nel buio. L’io perdeva la coscienza e cadeva nel sonno. Ogni tanto, nel sonno, un sogno sfolgorava. Ma per ore l’io senza coscienza, privo di ogni figura e narrazione, sfidava la cecità del buio – che conteneva il cielo e l’universo – con la costanza del calore, con la marea ampia del respiro, e con la polvere incorruttibile del silenzio.

Dopo tantissimi anni: “… è in quel sonno senza sogni il massimo della vitalità ? “

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il mare e i fiori


Posted By on Apr 8, 2011

il mare e i fiori

la scrittura la meraviglia la distanza l’assenza gli splendori dei centri barocchi la successione incalzante i pensieri fastosi le pratiche di inaugurazione il varo bruciante la nave a vela la scuola primaria assordante di bimbi il tempo delle scelte i fiori in mare essere bravi la tempestività in amore i banchetti della frutta le piazze dei metafisici la cessazione dei procedimenti di istituzione della colpa la risoluzione dei contratti di sfruttamento da parte del padrone i cortili dietro alle case popolari l’aria precipitosa dalla gola fino alle labbra le questioni di vita e di morte gli accordi sperati l’infelicità per quello che è la prevalenza su tutto delle parole il tempo con il volto incomparabile di donna il testo della commedia essere tutto un pretendere le pareti il palcoscenico il sapere certe cose da sempre la vita in una parola ieri notte il dire qualcosa ogni momento guardare te letteralmente sempre i volti le cose dense nelle mani la certezza improvvisa il linguaggio i custodi la breve durata quello che manca tutt’ora gli esseri umani che comprarono fiori mentre altri dormono quelli che avevano comprato i fiori che tornano a sedersi sul bordo del letto degli altri che sono rimasti in qualche modo a dormire  forse in qualche modo a morire  per una ragione che non si saprà mai forse un sonno magico o un’indifferenza un odio una perdita del rapporto con il tempo della vita i primi che continuano a tornare facendo il mondo sempre più luminoso senza sapere perché neanche loro ma sempre con una bellezza tra le mani sempre con le proposizioni allegre sempre primi al banco delle scommesse della vita quotidiana con i fiori quelli come certezze viventi e tutta la annosa questione delle tazze di caffè caldo e tutto il processo di ricerca sulle  gradazioni della penombra e del nero della penombra e insomma quelli che sono tutto un confidare nel colore dei petali dei tulipani e gli altri che restano silenziosi a fare il mondo sempre meno comprensibile e dunque capacitarsi per quanto non si sarebbe davvero pensato che è tutta una sfida tra i tulipani e il sonno quando il sonno assume le qualità della morte anche se i fiori oggi viene da gettarli tutti in mare perché in mare oggi ci sono persone che di certo non tornano e anche se tornano sarà impossibile fare qualcosa più che contarne i volti restare con i fiori tra le mani di fronte a quelli che continuano a dormire in una tomba di silenzio non sapere cosa fare per sovrastare quel silenzio sul mare avere la comprensione che si realizza perché la materia viene colpita dallo stimolo di un ricordo uguale a questo presente indicibile.

La sanità della mente realizza la continuità del rapporto con il presente evitando l’anaffettività di fronte al disumano con la creazione di pensieri che sono inevitabilmente figure piene di dolore: ‘.. il mare e i fiori…’

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il silenzio della parola


Posted By on Apr 6, 2011

il silenzio della parola

Esatte scenografie delle intimità ostinate del pensiero. Programmi di mondi perfetti e differenti. Il risparmio delle parole. Le moltiplicazioni dei volumi muti del mondo di dentro perfetto senza spreco. La fontana di sabbia. La ridefinizione delle identità nella prova vocale della recitazione. Noi. Il senso della preferenza d’amore nella dialettica delle marionette oltre la balaustra. La guancia accostata alla spalla. Il riposo sulla pietra azzurra affacciata sui vulcani. Il pensiero verbale muto che splende. Il crollo sfolgorante di una civiltà intera. Il travagliato operare chirurgico per ricostruire l’esattezza del margine. La pulizia. I calcoli attenti dei metabolismi dell’anima affascinata. I piatti di luna. Le dieta ipercaloriche per l’amore. Il colore indicibile degli astri durante la luna di miele. Tu ed io a camminare sicuri  in mezzo ai campi  coperti dalle ombre degli anni avversi. Certi giorni. Il mutismo del pudore.

‘ ….sei quella che ha scelto di tacere…’

La tua ostinazione programmatica a tacere. La tua ostinazione programmatica a tacere che fa il niente delle parole. Io che al cospetto della tua ostinazione programmatica a tacere divento diverso. Tu che di fronte a me che divento diverso alzi gli occhi al cielo. Tu che alzi gli occhi al cielo e fai cambiare il cielo ai miei occhi. Tu che pronunci il mio nome ed io che cambio se pronunci il mio nome. Tu che guardi il mondo in silenzio con un sorriso misterioso e pieno di commozione. Il mondo intero che cambia sotto il tuo sguardo di tenerezza. Il mondo bambino. Il tuo sguardo silenzioso sul mondo. La tua ostinazione programmatica a tacere che ogni volta fa il niente delle parole. Quel numeroso niente che fa la tua comprensione femminile del mondo. Il mondo coperto dal tuo silenzio. Il silenzio che è progettare mondi.

‘….sono la fontana di sabbia al centro delle città…’

La fontana di sabbia al centro delle città costruita con tenerezza e compassione quando volti gli occhi al cielo di fronte a me che cambio troppo lentamente e preghi dio di darti la capacità di aspettare fino a quando saprò raggiungerti nelle piazze piene di sole. Una costruzione che tiene la mia idea di te al riparo. La Città del Riparo ha acqua che gorgoglia e canta nella piazza al centro della mappa del progetto di noi. La costruzione perfetta del Grande Riparo. L’urbanizzazione della tenerezza che ti prende nel guardarmi mentre cambio al cospetto del tuo silenzio. La Città del Silenzio e le città infinite del mio silenzio. Le mie reazioni alla tua perseverante tenerezza e la proliferazione del tuo silenzio ostinato. La moltiplicazione dei miei progetti di città perfette, di hangar necessari ad ospitare intere flotte di aerei di pace. L’esatta pressione che piega i pennoni d’acciaio e crea le convessità della volta alle cupole dei Magazzini degli Imperatori. Io tutto un progetto di me nei tuoi confronti riparo motori scassati nelle piazzole di sosta.

‘…confidiamo che l’identità possa essere il silenzio delle parole mai pronunciate a proposito delle nostre reciproche intenzioni d’amore…’

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