Posts Tagged "donna"


image
Alla sua origine è ricondotto il mio sentimento variabile per lei che risulta ‘natura’ e ‘forma’. Fondo la relazione sui miei modi di ammettere dolcemente o con acidità la sua legittimità di essere nel mondo. L’amore è potente ci consente l’arroganza di attribuire diritti di esistenza ai nostri amati fiori colorati o secchi nei vasi di mattoni e cemento coi quali abbiamo costruito le case. E’ fondato sulla concessione di plausibilità delle nostre  reciproche nascite. Feroce mentre dura e quando si esaurisce. Amandoti ti battezzo cara ragazza che credevi fosse un’altra cosa. Ti battezzo con le carezze perché qua dove si vive ci si somministra tra noi la comunione. Liturgie del sabato o della mattina presto o delle fughe nelle strade di città costruite appositamente per amanti e nelle balere durante le languide milonghe. Schiere mormoranti di pellegrini amandosi come noi determinano speciali funzioni della nostra mente per una psicologia etnica d’essere umani. D’essere ‘qua’. Con l’accordo sui colori del tuo foulard appena comprato sulla bancarella del commerciante cinese so che posso aumentare il grado della tua sensazione di esistenza come se ti fornissi pappa reale e ossigeno nello spazio dove respiri. La mia freddezza può indurre sentimenti di miseria e aleatorietà. Il disamore si avverte come un disconoscimento più radicale più freddo e più disperato di quello che dovrebbe essere. Talvolta l’azione della malattia si caratterizza come una precoce alterazione dell’investimento affettivo. È dislessia dell’odio. Intuitiva. Feroce. Normativa. Al suo estremo porta ad ogni sorta di banalità. Non è un ente metafisico. È una malattia di non saper avere compassione per una foglia o un mattino. È una malattia sociale. L’incapacità di generare il nostro proprio senso senza un ragionevole motivo fa sì che usiamo gli altri: a causa di una mancanza di autonoma fantasia. Dicono che c’è una metafisica del Male. Invece c’è l’odio precoce contro un bambino e per un’amante e il freddo che gli si impone e dopo c’è la sua anaffettività come unica possibilità di sopravvivenza fisica. Ne può derivare un modo d’essere banale come è banale la natura senza esseri umani a narrarne la bellezza. L’amore che delegittima è un affetto glaciale di chi non riconosce e non genera gradazioni di colore e dice soltanto ‘bianco’ neutralizzando le sfumature necessarie per dire il latte e la neve e causa la lesione nella mente di chi ascolta poiché gli impedisce di distinguere le gradazioni termiche e i colori delle parole. La gratuità di quel male corrisponde ad un non valer d’animo. A volontà miserabili e sghembe. È un male che uno s’è preso ma che quando ce l’ha ci tiene a tenersi. È una ben tenuta malvolenza. Un tener di conto la malvagità. E’ la vera fonte del potere. E così spesso è un errore d’amore a provocare il suo contrario. Un odio che si rivolge dove nasce l’amore medesimo: alla origine della forma e della figura, alla nascita dell’altro. L’opposto dell’amore che dà senso al colore grigio e blu dei grattacieli appena completati è la banalità dell’io biologico che sceglie secondo un discorso di razza. L’odio può arrivare a colpire non una qualità ma una legittimità. È un razzismo che comincia nel rapporto degli adulti con i bambini e seguita nel rapporto uomo donna. Non si finisce mai di curarsene il rischio. Si capisce che è una cosa seria difficile ed è dunque necessario non contentarsi d’averlo approssimativamente definito. L’amore mio per te e il tuo non basteranno di per sé senza una ricerca più accurata (più amorevole del nostro amore) dato il turbamento che ci prende o dovrebbe prenderci se fossimo innamorati davvero: non sapere se potremo mai  fare in tempo a capire quanto ci siamo perduti l’uno dell’altra quando pronunciavamo con enfasi la parola “NOI”.

 

Read More

chi donna non è nato


Posted By on Ott 3, 2013

Essere mendicante attorno al brulicare delle innovazioni urbane. Dentro la bollitura tecnologica incalzante riposare la mente toccando con la punta delle dita la fronte alta delle divinità domestiche. Ho scelto subito che conviene. Mi conviene. Ogni momento arriva come un ospite atteso che è adatto alla mia età. Non devo faticare attorno alle definizioni a memoria. E la perdita, della stessa memoria, mi porta il vantaggio dell’amore al riparo delle ombrose tende. Il bazar delle marmellate si protende avanti. Il nesso era stato che il balcone è il seno materno. Una volta ‘mortale’ adesso non più solo mortale perché non più sempre solo materno. Erotismo.

Ma posso permettermi l’azzardo dato che sono certo che non è maschile la fantasia di una realtà esterna in continuo amplesso sessuale. Metafore di tal genere so che tengono vivo specialmente il pensiero femminile. Pensiero che è ‘modalità di pensiero’ e si rallegra di sé assai più del gioco di guerra e di conquista del riflesso sull’acqua del volto di chi donna non sia nato e che a quel volto irriconosciuto anela. Da qui l’astio che distingue i compagni delle signore e ragazze. Compagni al loro braccio che siamo transitoriamente e vicendevolmente prima o poi tutti. Possiamo affermare che un essere umano astioso diventa comunque maschile.

La spinta all’erotismo è umana. Poi, per ragioni complesse ma non insondabili, la rabbia dell’incomprensione che distrugge i disegni del progetto politico primordiale fa il maschio. Resta ad ogni distruzione rabbiosa una preponderanza della differenza esclusa. Tale differenza viene messa alla porta da quanti sono privati di possibilità di comprendere di più. Femminile viene definita ogni raffigurazione colpita dall’ostracismo. Tuttavia di rimando si generano nuove figure di femminilità ogni volta che nella mente degli esseri umani esclusi non si rompe l’ideale dell’altro attraente.

Seppure delicato, per quanto lieve sia il pensiero umano, alcuni hanno accesso al magazzino delle invenzioni d’amore fisico, ed altri non hanno tale accesso. La preferenza aprioristica di un genere rispetto all’altro è equivoca. Tale equivoco non è erotismo. Anche se troppo spesso quanto sa di materia osservata viene scambiato con le avventure dei tappeti volanti cioè gli aerei amori cui l’eros conduce. Vicinanze mancate perseguitano la distinzione tra i generi. Per adesso si dice sia gentile esser donne e scomodo e inattuale restare il resto dell’umanità. Io sono parte di quel resto. Per questo so che una realtà esterna in continuo amplesso sessuale tiene vivo specialmente il pensiero femminile.

Sviluppo la qualità di una certa disattenzione rispetto a quanto dovrebbe disperarmi: che non sapremo mai, noialtri, di noi medesimi questo amore per quello che non siamo. Scrivo, da donna, come conoscessi il ventre anatomico e la poesia della struttura dei tessuti profondi: “La nostra scienza è questa ignoranza delle sottili vene di calore e luce delle quali siamo incapaci di articolare figure migliori che quelle dei manuali. Disegnando fissiamo il noto. Le donne velate ridono. Le donne sanno velarsi per cose differenti dagli agguati.” Comunque conosco il dato che la letteratura è un agguato e una mendicazione. La mendicazione come per esempio la si legge da Elias Canetti ne “Le voci di Marrakesh”. La mendicazione unica di cui valga parlare, la doppia mendicazione di miseria e cecità.

Da donna scrivo come avessi un ventre femminile: “Capire avviene dentro un sentimento insinuante di spossatezza e precisamente dentro il sentimento dei sensi mossi durante la caduta del corpo in angoli di accoglienza. Noi siamo finalmente a casa tra i ciechi. Finalmente noi ragazze sappiamo esprimere come, evocando i sentimenti di riflessione nei muscoli decontratti dalla soddisfazione dell’inappagabile altrimenti, si riesce a centrare il mondo sul forellino dove il compasso si è appoggiato per inscrivere nella circonferenza numerose istanze -che chiamiamo ‘figli’ e ‘futuro’- senza distinguere i corpi che nasceranno dalle frasi in gioco già oggi.” E poi ho la chiarezza a proposito dell’agguato dei mendicanti ciechi.

Essi che mi liberano di me donandomi una invisibilità che non è mai non essere. E’ una folla di indovini mitici. Tiresia moltiplicati in grani di polvere. Non protesterò. Perché ho evitato la sorte di una degradazione termica. Il ritorno della comprensione dell’amore ad un equivoco ottocentesco. Colgo l’erotismo del blu notte nella visione solidale tra esclusi come sono ciechi di Marrakesh. Appena qualcuno, chiedendo, ci ferma è ogni volta ‘per sempre’. Divento femminile e penso “Chi ama di più è il cieco. Quello ammanta il proprio oggetto di ricchezza.

Avevo occhiate di adorante desiderio. Dai due lati non si sapeva alcuna misura. Gli inviti originati dalla sproporzione funzionavano come il sorgere e il tramontare del sole. “Quando torni. Quando ci vediamo. Vieni. Aspettami“. Tendo la mano oltre il foglio. Non ha niente da offrire chi scrive. Ci riduciamo da far pietà. La stima e l’ammirazione dei lettori incarnano ogni volta la distanza di gesti di corrispondenza. Ma restiamo lontani. Chi teme la eccessiva letterarietà di queste affermazioni chiama esagerazione ciò che non è altro che soglia sull’erotismo femminile. Una promessa. Il mendicante  cieco assicura e promette di restare povero come è.

Possiamo anche non dare nulla. Non misureremo in una sua ulteriore disgrazia la nostra misera avidità. Capisco una donna che non può misurare l’entità di quello che propone nel sesso se non con l’aumentare della propria miseria. Quella miseria è precisamente, se chiedete a loro, femminilità e sensualità che restano incomprensibili dal momento che aumentano con il darsi. Avvicino chi è simile nella quotidianità di lasciarsi sempre convincere. Ma il sempre non riguarda conclusioni qualsiasi né generiche convinzioni.

Ogni momento arriva come un ospite atteso che è adatto alla mia età. La perdita della memoria mi porta il vantaggio dell’amore cioè precisamente avanzare protendendo i tentacoli sensoriali della mia cecità per raggiungerti e sfiorare e tenere a lungo il silenzio e la temperatura del desiderio al riparo delle tende ombrose. “Ti amo. Mi manchi. Ho bisogno di te.” Più che altro imploriamo. Non è un luogo della mente cui si arriva ‘paradossalmente’. Implorare non è un estremo. La scelta del termine trasforma la realtà mentale di chi ascolta. Il soggetto della nascita grida e implora l’oggetto che possa confermare una cecità transitoria. Il soggetto non teme di chiedere una presenza. Esso non ha dubbi. E’ un amante ideale.

Read More
foto di Nazif Topcuoglu

foto di Nazif Topcuoglu

La scrittura corre nel traffico convulso della lettura e deve evitare di essere travolta ad ogni istante. Ci sono dei punti emozionanti nella lettura. Si vuol accelerare ma ci si arresta a segnare i propri pensieri nel cogliere segni di intelligenza sulle pagine. E scrivo per illudermi di vanità e partecipare: come fossi lì con lo scrittore -che eternamente scrive chino sui fogli di quella precisa pagina- a condividere. La mia scrittura dura sempre poco perché non è mai migliore di quella lettura che l’ha suscitata. Comunque è meglio che non lo sia. La mia scrittura è un affanno tra dire e ascoltare, tra ascoltare e non poter tacere.

Scrivo quasi come tentassi di fermare certe tue parole con la mano e soffocarti per rallentare l’incalzare della compostezza e dell’eleganza del pensiero tuo. Il filo forte di un avanzata ordinata e inarrestabile è il tuo pensiero libertino. Il tuo pensiero irriverente che si esprime silenziosamente da quaranta anni, tanto è che dura il nostro ‘amore’. Colgo le tue gemme di proposte scientifiche ed etiche e pragmatiche. Poi, tu, aggiungi sempre la pietà: sempre una goccia di thè sul palmo della mano, per confortare un animale semi selvatico: il mio cuore che vuol sentire che non pesi.

Dormo con i pantaloni sul cuscino, tu hai accanto la bambina, io sono libero. Leggo studio e preparo fuga e ribellione, guerra, forse guerriglia, e regate. I rematori galeotti sono ai loro posti e la Repubblica è in fermento. I messaggeri volano un meridiano all’ora. Come pensieri traversano le città. Dormire non è più un riposo, in tempo di ricerca. È armamento, fonderia ed atletica. È allenamento subacqueo. Leggendo e scrivendo continuo a pensare come il vento sulla spiaggia e pensando alle repubbliche marinare e ai cantieri navali scrivo che ciò che facciamo pensando è di calcolare le quantità di moto della masse di senso in gioco ogni momento, durante la vita sensibile, una per una, lanciate come frecce nella direzione dell’aria illuminata.

Sono numeri belli che si ottengono. Sono capigliature color rame. Soffi d’aria bruciati. Soffi di fusioni di fonderia. Bisogna dire che tutto avviene sul mare, e la matematica dei calcoli si fa sul ponte di maestra, navigando. Perché, nella laguna della perdita dei rapporti amorevoli, non si può misurare l’efficienza dei coefficienti aerodinamici e idrodinamici, dato che il poco vento -per non soffocare troppo soli- ci si fa per nostro conto: ché dio non lo manda e noi, dunque, avremmo dovuto naturalmente perire. Con i calcoli della aritmetica abbiamo invece progettato la probabilità di un destino differente ed eccoci qua con le gambe distese sui gradoni di marmo che scendono sul livello del mare ai moli di ormeggio.

Nella città di questo mare ci diciamo solo le ultime conclusioni di ogni gruppo di pensieri. Cosicché il linguaggio è cifrato, e la chiave di lettura è intelligenza storica e appartenenza civile. Noi siamo le nostre stesse conseguenze, in ricerca di chi si appassioni a questa modesta concatenazione che è l’anima nostra. Le parole, scambiate nel tempo tra un viaggio e il successivo, sono cronache sintetiche, rimandi alle ultime miglia di mare. I gazzettini gridano attorno, ma noi restiamo quieti, come nulla fosse. Il pensiero si perde perché  numerose idee si confondono con la percezione visiva di infinite piccole linee, disegnate dai riflessi del sole, sulla massa del mare all’orizzonte.

Ne viene una natura composita di ragionamento. La cui incertezza conforta e consente l’attesa. Pensare non è esclusivamente che noi  sappiamo ricordare o prevedere avendo visto e saputo, pensare è anche che noi sappiamo immaginare avendo calcolato. Penso avendo studiato come nel seicento si sviluppò il fenomeno culturale di un pensiero libertino che era precisamente un pensiero libero non una fantasticheria di dissolutezza. Figlio di quel modo di rivoluzionare la mente con immorali trovate, si vede bene che, a star qui sulle pietre, a fissare l’orizzonte come navigatori preistorici, ciò che può essere immaginato, ciò che è probabile, finisce per assumere una certa natura di realtà. La vista prolungata della linea fluttuante dell’orizzonte marino è una stimolazione che porta il pensiero ai propri processi primitivi.

Dunque: che io stia dormendo con i pantaloni sul cuscino non è tanto una frase bizzarra o la descrizione di una bizzarra abitudine. È, invece, una carta geografica e un planisfero, con il disegno dei continenti del sogno disposti vicino a me, come il vestito delle camminate al mare e, se ci si pensa bene, è un modo di affrontare la solitudine, è l’invenzione di pensare in modalità non cosciente, è disposizione funzionale all’imprevisto. E’ altruismo intellettuale. Voglio dire: la certezza di esistenza è certezza della probabilità di quell’esistenza. Ed è intelligenza primaria, regalo di senso ad una probabilità d’amore. Così la speranza non è fragile. La speranza è conoscenza.

Poi cerchiamo gli oggetti di cui abbiamo pensata certa l’esistenza probabile: le cose che sono realtà di pensiero. E siccome la speranza è conoscenza, usare il termine intuizione per riferirsi al differimento del tempo necessario all’esperimento d’amore, il tempo necessario a confermare non il sogno del desiderio ma la certezza della speranza, è un vezzo linguistico inutile e pericoloso. Non c’è alcuna ingenuità nel primitivo atto della funzione mentale. Essere immediatamente disposti a rischiare la colpa della nascita come impotenza e mostruosa mancanza di ragione, in cambio della solida probabilità di esistenza dei nostri simili (seno), è fisiologia primitiva dell’io.

Non c’è l’ingenuità all’origine. Non c’è, all’origine, la colpa perdonabile di una assenza assoluta di responsabilità. Non c’è quell’anima ingenua perché piena di peccato e cattivi propositi che è l’anima vacua e violenta del bambino nella visione cattolica. All’origine c’è l’innocenza che è potente. C’è un io che non è assenza di anima e non è irrealtà del peccato originale. C’è davvero un bambino soggetto di una realtà di pensiero che si origina (e poi si sviluppa) nella biologia cerebrale. e lo si può chiamare in causa nella storia della crescita insieme a noi. La persona presente è un bambino colpevole.

Il bambino furbo e ingenuo figlio della divinità che nasce privo di grazia se accetta la colpa del proprio difetto originario avrà il battesimo a sancire la sua naturale incurabilità. Invece la colpevolezza dell’innocenza originaria (nascere senza peccato) costa la condanna di cattiveria per non chiedere mai perdono. Eccolo questo nostro bellissimo figlio che ha immediatamente l’io del pensiero originario nato per via della luce che è entrata dentro gli occhi suoi, soggetto di accuse di irrazionalità di vuoto e di mancanza. Di disobbedienza.

Poi la vita è un esperimento di pensiero in cui chi sa disegnare il maggior numero di eventi, seppure rischia la nevrosi ossessiva, tuttavia ha a disposizione il massimo numero di scenari per il proprio e l’altrui sviluppo. Ci sono spiagge al limite dei boschi. Impensati giorni di bagni marini primaverili quando, navigando di fronte a quei lidi, vedi scorrere l’infinito sulle chiome dei pini piuttosto che dalla parte aperta del mare. E allora capisci che la bellezza è meglio accettata da chi l’aveva prevista.

Potrò riconoscere solo l’amore che so di meritare. E spiegare con chiarezza massima le cose che incontro soltanto a chi già le aveva chiare. Ti dirò: …“tutto è finalmente al suo posto”… e: “ insieme a te eredito la felicità”. Ma finalmente non corrisponde a deporre il fardello del tempo trascorso fino a lì. È nascita umana causata dalla stimolazione luminosa della retina, che genera insieme tempo e pensiero. E’ l’io della nascita essere insieme ed è precisa rapsodia di uno splendore temporale.

La vitalità depone la placenta con il parto mentre dormo con i pantaloni sul cuscino e tu hai accanto la bambina. L’origine materiale del pensiero ci permette di fidarci della realtà non materiale dell’immagine che viene alla mente con stupore perché non corrisponde alla percezione di una realtà materiale esterna.

E’ una immagine che sostiene la dizione REALTÀ NON MATERIALE. In essa non c’è traccia di stimolazione fisica degli occhi. Essa esprime una certezza del pensiero. Il pensiero, cioè l’idea, che REALTÀ NON MATERIALE non significa ASSENZA di realtà materiale ma certezza di ESISTENZA di realtà umana (…SENO…)

(foto del post reperibile qui)

 

Read More

una vela e una donna


Posted By on Apr 2, 2012

È che noi non sappiamo cosa succede adesso lontano da qui. Non siamo particelle subatomiche. A noi serve informazione, e questa necessità fa il pensiero del tempo, e la vita mentale estesa a coprire ricordo e progetto. Noi siamo informazioni di simpatia o di opposizione. Siamo agli incroci, dove sfrecciano le macchine. Facile sciogliersi al calore e dimenticare. Stare là a godersi lo scoccare dei bolidi, trascurando ogni altra cosa. A offrire uno sguardo di impressionismo futurista alla letteratura scientifica. Il presente è arbitrario perché è legato alla fisica materiale del pensiero. Tutto era scoccato per un urto al braccio. Mentre correvi mi hai colpito: un bolide dritto da sinistra.

Arrivasti dall’ombra del grattacielo, durante la gita ai semafori. Era là che portavano noi ragazzi a studiare la comprensione del pensiero di Copenhagen. Andavamo a vedere più eventi accadere contemporaneamente in luoghi differenti e contigui che -ci facevano notare- ” stanno tutti nello stesso sguardo”. Nel medesimo atto sensoriale. La macchia di luce dall’orologio della banca che segnava le dieci è insieme allo scampanellare di molte biciclette di impiegati ronzanti e del tuo arrivo addosso al mio emisfero cerebrale destro. C’era (c’è ancora nella mente) una farfalla in volo, un’ombra sulla vetrina di Tiffany dall’altra parte della strada, l’idea allettante della colazione, il vassoio delle paste alla crema, l’essere nella grande città, un sorriso, e la stanchezza allegra nelle gambe che da giorni percorrevano chilometri e chilometri nelle grotte della modernità.

“Tutto nel medesimo pensiero…!!” esortava il professore. Come se ci pregasse di prendere atto che la comprensione deve sempre legarsi ad una variazione emozionale per avere rilevanza. Per questo i grattacieli non sono solo molto alti o altissimi sono semplicemente infinitamente alti. Sono esageratamente alti. Sono singhiozzi di uno che ha perduto per sempre ogni modestia e resta solo perché, a modo suo, sa soltanto esprimere arroganza. Non sai mai dove precisamente era il limite che non dovevi traversare, lo hai infranto e ora cammini su smaglianti cocci di ceramica e muro colorato che sono il futuro che si mettono i piedi sulle macerie della rivoluzione. Rimangono là -senza essersi mossi- biciclette, campanelli, le dieci, l’idea della colazione, la vetrina, una farfalla (forse, perché potrebbe essere volata via e restare nella mente solo la componente della traiettoria galleggiante del volo) e l’urto proveniente dall’emisfero sinistro del mondo, che senza la tua irruenza, restava non percepito visivamente, ignoto e insospettabile. Una cosa che, poi, dovetti prendere in una nuova meritevole considerazione.

La conoscenza diviene poesia quando si ammassa tutta assieme: i fisici dicono che un atomo, dal punto di vista percettivo, cioè per quanto ne sappiamo noi, non é che la diffrazione delle onde elettromagnetiche attorno ad un nucleo: è sfavillante polvere sensoriale. Divide dittatorialmente chi vede (che sta ogni volta realizzando una capacità di immaginare) dagli altri. Un atomo è quando piansi che guarivo e non ci speravo più. Un atomo è la frontiera. Il margine del mondo dove si resta a poltrire con lo sguardo appoggiato al buio di mosaici e granito. Poi la genesi delle fate sei tu che precipiti e -mettendo in disordine i termini della somma che erano ben distribuiti in uno sguardo- hai costruito la confusione cosicché io andai all’aria, il mondo divenne un cartone animato. L’aglio guaritore si insinuò, possente, nel mondo psichico, come il fiato di un gigante sui fiori. È tutto così vivo, che nella mente non è necessaria alcuna idea di tempo a consentire la certezza di noi da quell’adolescenza.

Il tempo non è passato perché il pensiero forte tiene assieme le cose. La nostra vita è una esagerata estensione dove non finiamo di esplorare e cercare tutti gli altri. La conoscenza è la possibilità di non confonderci quando ciò che traversiamo viene sconvolto da suggerimenti di altra natura. È presente anche il buio alle spalle. Non è che tu mi abbia tolta alcuna ignoranza. Hai semplicemente suggerito (si tratta di un ago dolce in un fianco) di non lasciar perdere con troppa superficialità tutto il mondo scuro e forte di caffè che ci lasciamo alle spalle. Su quella scia sono sulle nostre tracce innamorati ancora sconosciuti. L’estensione del mondo è tale da non aver, noi, reale bisogno di rappresentarci alcun avvenire per l’esecuzione dei traffici d’amore, poiché essi sarebbero già in atto in luoghi esterni alla visione. Lei infatti solo ieri diceva, davanti al cous-cous, che non si poteva sapere: “Quando noi non ci saremo più” -così minacciava- “potrebbe essere una donna differente a suggerire….” Le onde sonore della sua voce, il blu accecante delle iridi, il profumo e l’asprezza del vino, l’accoglienza del ‘centro’ deserto nel sabato di festa, la sicurezza di non aver eccessivamente fallito il lavoro sulle grandi vele.

Sono tutte cose che stanno con lei che immaginava di poter anche non essere più là: ma stanno nella mia mente insieme alle altre figure di persone care che erano poco distanti. Eravamo tutti sulle tracce di tutti. Si poteva fiutare un sapore buono. La nascita è un segugio lucente che ci segue, ma non così discosto che non possiamo coglierne l’ombra in un sogno. Pensavo che, per regalarmi la libertà e la felicita, gli uni avevano messo il lavoro silenzioso e l’altra offriva la certezza del proprio farsi da parte, ed altri ancora tenevano al fianco ragazzine e profumo di pasta al ragù. Non c’è bisogno della luce che porti l’informazione da luoghi lontani. Nel mondo degli affetti la certezza della esistenza degli altri evita il ricorso al tempo. Si sa. Si sa sempre e per questo il tempo è una macchia di inchiostro sulla carta assorbente. Nella durata, negli attimi allegri e tristi della conoscenza, il tempo per un poco smette di accadere e si lascia attraversare con passi incerti. Dopo i rapporti più importanti i nostri piedi restano per sempre neri di inchiostro. Cosicché siamo certi di non aver sognato.

Da oggi potremo vedere due pannelli di spago e cotone come due palpebre che si aprono e si chiudono. Per la realizzazione delle immagini è indispensabile la sanità della alternanza del sogno e della coscienza vigile, la serie ripetuta di eventi di lasciare la coscienza per l’inconscio e l’inconscio per la coscienza. Una vela e una donna….

Read More